«Poiché la scuola dovrebbe essenzialmente far nascere lo spirito critico, la miglior cosa sarebbe eliminare l’Invalsi e restituire i suoi test a chi li ha inventati». A dirlo è Luciano Canfora, tra i più autorevoli classicisti in Italia e all’estero, alla quasi-vigilia delle prove Invalsi. Si comincia alle elementari il 7 maggio (lettura e italiano) e il 10 (matematica), si passa alla scuola media il 14 maggio (italiano, matematica e questionario studente), si conclude il 16 in seconda superiore (italiano, matematica e questionario). Il professore esorta il nuovo ministro ad una rapida inversione di rotta.
Qual è la prima urgenza della scuola italiana?
Cancellare la riforma Gelmini, ripristinare il numero di docenti necessario, rendere le classi più piccole e più umane, e – se non è utopia – rendere più dignitoso il salario dei docenti.
Qual è la sua obiezione principale alla riforma Gelmini, professore?
La cosa più ignobile è stata quella di eliminare i docenti di sostegno, accorpare le classi, accorpare le scuole, costringendo i presidi ad andare da una scuola all’altra, quella di cui sono titolari e quella di cui hanno la reggenza. Sul piano dei programmi la cosa più irritante è aver cancellato di fatto sia l’insegnamento della storia che della geografia nelle classi fondamentali che una volta si chiamavano quarta e quinta ginnasio. È stato un provvedimento stupido perché la geografia è forse la disciplina più importante per chi non voglia vivere rinserrato nella sua dimora ma comprendere il mondo in cui si trova.
Siamo ormai vicini, come ogni anno, alle rilevazioni Invalsi sull’apprendimento degli studenti. Cosa si sente di dire in proposito?
Le prove Invalsi sono una mostruosità, una cosa senza alcun senso, che può servire se mai a premiare chi è dotato di un po’ di memoria più degli altri, non chi ha spirito critico. Poiché la scuola dovrebbe essenzialmente far nascere lo spirito critico, la miglior cosa sarebbe eliminare l’Invalsi e restituire i suoi test a chi li ha inventati.
Il problema sta nel pretendere di rilevare attraverso i test quello che uno sa?
Non c’è solo questo. Il vero problema è il tentativo di trasformare i cittadini in sudditi, facendo ciò che è tipico di tutti i sistemi autoritari. Se io tolgo allo studente che si sta formando in anni decisivi della sua vita l’abito alla critica, alla capacità di comprendere e di studiare storicamente, di distinguere, lo trasformo in un pappagallo parlante dotato di memoria e nulla più. Appunto, un suddito, non un soggetto politico. L’Invalsi e tutta la quizzologia di cui siamo circondati è lo strumento per ottenere questo pessimo risultato.
Qual è la via principale per mettere una scuola in condizione di migliorarsi? Le scuole italiane mostrano una grande disparità di valutazione, pensiamo per esempio al diverso valore che hanno i 100 all’esame di Stato.
Ciò che lei segnala è molto importante e dimostra che l’esame di Stato è un gran pasticcio. Uso questo termine perché quando l’esame era una cosa seria aveva anche un’efficacia selettiva, ma questa è legittimata solo se si è lavorato sodo negli anni precedenti. Se invece la scuola decade come stile di lavoro, diventando sempre più leggera, dis-tratta da mille diversivi, dalla burocrazia alle occupazioni, è evidente che all’esame di Stato tocca di essere trasformato in una burla. Quando infine si decide di fare a meno dei commissari esterni, si suona la sua campana a morto. Piuttosto abroghiamolo e facciamo direttamente gli esami di ammissione alle varie facoltà.
A proposito, cosa pensa della scelta di selezionare gli studenti ancor prima dell’esame di Stato, attraverso prove di ingresso?
È un’altra cosa di cui non si sentiva alcun bisogno. Giorni fa mi trovavo in un liceo e ho constatato che le energie migliori degli studenti più in gamba erano già state mobilitate per i test di ingresso a facoltà per lo più scientifiche e che quegli studenti non avevano più alcun interesse per i programmi di studio dell’anno in corso. Mi auguro vivamente che l’attuale ministro cancelli quanto è avvenuto negli ultimi due dicasteri, che sono stati peggio uno dell’altro.
Che cosa occorre fare secondo lei per tornare alla serietà di cui c’è bisogno?
Questo è un problema enorme. Lo spirito di democratizzazione della scuola che si manifestò verso la fine degli anni Sessanta aveva due esiti possibili, uno positivo e uno negativo. Quello positivo andava nel senso di rifiutare gli atteggiamenti inutilmente e punitivamente autoritari, allargando il più possibile il cerchio degli utenti anche ai ceti che erano tradizionalmente ai margini. Questo non è avvenuto; si è verificato invece un altro fenomeno, un abbassamento del livello scolastico a suon di demagogia. Questo equivoco ha dato alla scuola dei colpi durissimi, dai quali non è facile risollevarsi.
Quindi?
Non si può dire: dopodomani cambiamo. Occorre conquistare uno stile diverso. Lo si può fare con l’aiuto del mondo unversitario che invece normalmente si tiene ai margini, si disinteressa della scuola o ha verso di essa un approccio puramente possessivo. Occorrerebbe fare un lavoro di collaborazione molto umile ma molto concreto.
Come si può migliorare la professionalità docente? Ritiene plausibile cambiare lo status giuridico dei docenti, facendone per esempio dei liberi professionisti?
No. Sono convinto che il modello positivo sia quello di portare ad una uniformità alta, non allo sbriciolamento liberistico che è il suo esatto contrario. Avremmo il solito fenomeno per cui le aree più prospere vanno avanti, mentre quelle più povere restano indietro. Questo non va fatto, a meno che non si dichiari apertamente che si vuole combattere il principio di uguaglianza.
Come giudica il lavoro di misurazione e valutazione condotto dall’Anvur?
È l’ennesimo fenomeno demenzial-italiano di chi arriva in ritardo rispetto ad altri paesi che si sono liberati di qualcosa che hanno constatato essere superflua o addirittura controproducente. Grazie alla Gelmini abbiamo cancellato le facoltà dicendo che all’estero ci sono solo i dipartimenti, eccetera. Niente di più falso: ci sono i dipartimenti ma le facoltà sopravvivono e sono assolutamente indispensabili. Lo stesso vale per le valutazioni dei lavori scientifici in fascia A, fascia B, punti e contropunti. È il trionfo postumo di Mike Bongiorno, in nome del cretinismo universale.
Che cosa vuol dire educare per Luciano Canfora?
Insegnare e imparare. Chi insegna impara mentre insegna. È così dai tempi di Socrate in avanti.
(Federico Ferraù)