E’ da anni che il fiume carsico della valutazione scorre lentamente, sotto il terreno perennemente ed inanemente in movimento della scuola italiana. Una storia strana per le nostre vicende scolastiche, sempre caratterizzate da fuochi di fiamma, fiumi di retorica e visioni palingenetiche su cosa, come, quando e da parte di chi insegnare. Incendi alla fine spenti dalla compagine governativa avversaria subentrante e dalla resistenza attiva e passiva dei sindacati.
Nel Convegno (che si è concluso ieri) 10 anni di prove Invalsi la storia è stata evocata a più voci. La Commissione insediata dal ministro Moratti nel luglio 2001 varò i Progetti Pilota 1 e 2 nel 2002 e 2003. A partire dal 2004 la somministrazione delle prove assunse un carattere sistematico (donde la celebrazione del decennio). L’arrivo del ministro Fioroni, con il secondo governo Prodi, sembrò segnare all’inizio una battuta d’arresto, superata con le norme varate dallo stesso ministro nel 2007 che segnarono il ritorno al censuario, la definizione delle annualità e delle competenze da indagare e l’introduzione della prova nazionale nell’esame di terza media. Il ministro Gelmini proseguì sulla strada iniziata, sia pure con molta lentezza e scarso investimento economico ed anche di immagine. Stesso discorso per i ministri seguenti, ivi compreso il ministro Profumo del governo Monti, che pure doveva il suo insediamento al patrocinio dell’Europa, unica convinta e potente sostenitrice della necessità di valutare qualcosa nella impenetrabile scuola italiana, al fine di cercare di migliorare le situazioni negative.
Tutto ciò si è svolto molto sottotraccia: didatti e pedagogisti si son mostrati ostili e/o disinteressati, mentre gli economisti dell’istruzione sono stati l’unico settore scientifico attivo. Non a caso i due presidenti che hanno consolidato l’aspetto scientifico delle attività valutative — Piero Cipollone e Paolo Sestito — sono venuti dalla Banca d’Italia.
Una ragione c’è. La valutazione esterna delle scuole sulla base di dati concreti è una tendenza inarrestabile a livello internazionale, insieme con lo sviluppo della scuola di massa e l’Italia può essere, come è, terribilmente in ritardo — lo ha ricordato nel suo intervento Piero Cipollone — ma non può rompere le fila. Nessuno però (destra e sinistra) si entusiasma, ci mette immagine e soldi veri, perché suppone che non renda elettoralmente, in un paese che non sembra contare sull’istruzione come strumento di prosperità. La sinistra poi ha il problema di non perdere il consenso degli insegnanti, che la votano in massa.
Perciò all’alba del 2014 il problema è — come sempre — il finanziamento delle attività e la stabilizzazione del personale interno che, dopo tanti anni, è ancora precario all’80%. E che ha accumulato da ormai un decennio una competenza non facilmente riproducibile. Una situazione incredibile, soprattutto se paragonata ai potenti apparati valutativi degli altri paesi europei. I rappresentanti della maggioranza renziana del Pd, responsabili del settore scuola nel Governo ed in Parlamento, si sono impegnati ad avviare a soluzione il problema, permettendo così il funzionamento dell’Istituto.
A sua volta l’attuale presidente Invalsi, la professoressa Anna Maria Ajello, si è assunta con questo Convegno, ma non solo, un compito importante: quello di rendere più noto ciò che fa l’Invalsi e di rendere la sua immagine più friendly nei confronti delle scuole, incrementando i canali di comunicazione, rendendo più leggibili i risultati ed occupandosi più diffusamente della formazione su un terreno abbastanza inedito per le scuole come quello della valutazione. Il punto più debole è in verità la politica dei media, che della scuola si interessano solo per motivi scandalistici di basso profilo e che non conoscono che ben poco delle problematiche scolastiche a livello nazionale ed internazionale.
Il Convegno ha offerto nella prima giornata un’ analisi approfondita dei Quadri di Riferimento che ispirano le prove e dei problemi metodologici sottesi, anche quelli di carattere statistico. Il responsabile del tutto, Roberto Ricci, ha anche delineato le prospettive di sviluppo: costruire analisi longitudinali seguendo gli allievi nel tempo con la conseguente possibilità di individuare il valore aggiunto, perfezionare i modi per ridurre il cheating (copiature), coinvolgere in modo sistematico l’istruzione e formazione professionale, aprire una finestra anche sull’inglese ed infine affrontare lo spinoso problema delle prove dell’ultimo anno del triennio, su cui da due anni l’istituto sta lavorando. Tema autorevolmente toccato anche da Carmela Palumbo, direttore generale per gli ordinamenti scolastici del Miur: la collocazione di una qualche prova standardizzata attendibile al termine del triennio delle superiori potrebbe ridare una qualche credibilità ad un esame di maturità attualmente squalificato (o di fatto sostituirlo), aiutare i singoli nell’auto-orientamento ed il sistema nella selezione per l’università.
Significativamente il convegno si è svolto ad una settimana dalla presentazione da parte del Ministro del Rav (Rapporto di Autovalutazione) che tutte le scuole italiane dovranno compilare e collocare sul proprio sito entro l’estate 2015. Nell’anno successivo partiranno le visite esterne dei valutatori ad una percentuale limitata di scuole, scelte con il criterio della casualità ma soprattutto con quello della necessità di una assistenza alle operazioni di miglioramento. Sostanzialmente il format si rifà a quello già utilizzato nel progetto Vales che venne elaborato dopo uno studio ampio della letteratura internazionale in proposito; nella nuova versione si accentua la sottolineatura del contributo dato dalle precedenti esperienze italiane. Vengono introdotte alcune innovazioni: una sintesi e semplificazione nell’area dei Processi che si riducono a 7, i “criteri di qualità” relativi agli esiti concernenti i risultati delle prove Invalsi della scuola passano da 2 ad 1 e vengono introdotte fra i “criteri di qualità” relativi agli esiti le competenze di cittadinanza (senza peraltro precisi indicatori), la scala della valutazione passa da 5 a 7 livelli con una maggiore articolazione dell’area della negatività per incoraggiare le scuole ed i valutatori a utilizzarla.
Nel ragionare sulle finalità dell’operazione è stata sempre molto sottolineata quella del miglioramento, ed ancora una volta nel Convegno sono state escluse graduatorie e sistemi di premio/punizione. E’ però stata anche sottolineata da più parti, compresa quella dell’autorevole rappresentante del Miur, la finalità di trasparenza e rendicontazione: i contenuti del rapporto di autovalutazione, ivi compresi quelli concernenti i risultati delle prove Invalsi, saranno resi pubblici sul sito delle scuola a partire dall’estate prossima. Non è cosa da poco, visto che per la prima volta nel Convegno è stato reso noto che, dopo tanti anni, poco più della metà delle scuole scarica i dati (e non si sa bene cosa ne facciano). Forse questa sarà la volta buona.
C’è però il rischio che, fra i 49 indicatori previsti, i 3 che riguardano i risultati delle prove Invalsi si perdano, mentre tutti gli intervenuti — anche i meno entusiasti — si son mostrati consapevoli del fatto che si tratta dell’informazione “core”, in attesa che anche gli altri risultati di apprendimento degli allievi nelle aree professionale e culturali trovino indicatori altrettanto attendibili. Uno strumento per evitare questo brutto rischio è forse quello che prevede che le priorità ed i traguardi di miglioramento debbano riguardare l’area degli esiti, che comprende peraltro anche i risultati in competenze di cittadinanza (da definirsi), il successo scolastico e quello negli inserimenti scolastici e lavorativi successivi.
La tempistica così ravvicinata della presentazione del Rav e dei festeggiamenti del decennale forse non è casuale. Forse infatti ci volevano 10 anni di prove Invalsi perché l’Italia cominciasse timidamente a realizzare il parto podalico della valutazione delle scuole. Speriamo che il neonato sia vitale.