Come noto, il TAR Lazio, nella sentenza 7076, pubblicata poco prima di ferragosto, ha statuito che l’insegnante di religione non può partecipare a pieno titolo agli scrutini scolastici, né può far conseguire crediti formativi agli studenti avvalentisi, per presunta disparità di trattamento nei confronti di quelli non avvalentisi, dato che “lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un titolo formativo nelle proprie confessioni (islamica, ebrea, cristiane, di altro tipo) ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica”.
Insomma, un insegnante a metà (come il visconte di Calvino).
È evidente qui la volontà di depotenziare dall’interno l’insegnante di religione, vista l’impossibilità di sopprimerlo come figura ormai presente nel panorama scolastico italiano, grazie all’art. 9 del Concordato, che prevede espressamente l’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche, la cui legittimità è stata riaffermata più volte dalla Corte Costituzionale (specie con la pronuncia 203 del 1989).
Se è legittima la presenza dell’insegnante di religione cattolica nella scuola pubblica, allora la sua attività educativa e valutativa deve essere quella di tutti gli altri insegnanti.
La sentenza adotta una concezione solo intimistica del fenomeno religioso ed un principio di laicità inteso nel senso che le varie confessioni debbano avere uno stesso identico trattamento e rilevanza nell’ambito dell’ordinamento giuridico. In realtà, la garanzia da parte dello Stato per l’aspetto religioso, in un regime di pluralismo, ben può assumere intensità differenti, in ragione dei contenuti e della cultura religiosa di riferimento, come dimostra il fatto che la presenza dell’ora di religione cattolica nella scuola pubblica (a differenza di altre confessioni), è stata motivata sotto un duplice aspetto: a) “il valore della cultura religiosa” in quanto tale, formativo di per sé; b) “tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”, quale elemento specifico della religiosità cattolica in Italia (art.9, co. 2, della Legge 121/1985; e punto 5, lett. a del protocollo Addizionale).
La sentenza fa poi applicazione del principio di non discriminazione: gli studenti sarebbero “indotti a rinunciare alle scelte dettate dalla propria coscienza… in vista di un punteggio più vantaggioso nel credito scolastico”. Si tratterebbe di un caso strisciante di violazione delle coscienze, per cui lo studente non cattolico sarebbe costretto ad abiurare il proprio credo o il proprio ateismo… per ottenere un credito! In verità, la sorte di uno studente non è certo legata a detto insegnamento (come ognuno ben sa). Comunque, avvalersi dell’ora di religione non vuol dire “accettare l’insegnamento di una religione in cui non si crede” (e subire quindi una “discriminazione di carattere religioso”). Vi può ben partecipare anche chi ha un mero interesse alla cultura cattolica ed alla dottrina della Chiesa. Allo stesso modo, non può dirsi che chi studia Dante o Jacopone da Todi – a dire il vero sempre meno – “accetti” per forza l’insegnamento che da essi proviene (o anche in questo caso dovremmo parlare di discriminazione?).
Per fortuna, questo “scivolone” è stato subito corretto. Il 20 agosto è infatti entrato in vigore il DPR 122/2009, regolamento governativo (cd. delegato) emanato ai sensi dall’art. 3 del D.L. 137/2008 (convertito in L. 169/2008), contenente la delega al Governo per definire, su proposta del Ministro dell’Istruzione, le disposizioni attuative per la valutazione degli studenti. Il regolamento è del 22 giugno e quindi precedente alla sentenza del TAR, ma la sua odierna entrata in vigore permette di superare la situazione di incertezza che si era determinata con quest’ultima (che riguardava l’annullamento di due ordinanze ministeriali limitate agli anni scolastici 2006/2007 e 2007/2008).
Il DPR odierno regolamenta il sistema valutativo da oggi in poi e così dispone, all’art. 6: “in sede di scrutinio finale il consiglio di classe, cui partecipano tutti i docenti della classe, compresi… gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di quest’ultimo insegnamento, attribuisce il punteggio per il credito scolastico”.
Esso poi correttamente ribadisce che “la valutazione dell’IRC resta disciplinata dall’art. 309 del T.U. 297/1994”, secondo cui “i docenti incaricati dell’IRC fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti”.
Sfuma così, almeno per il momento, l’ennesimo tentativo di delegittimare l’IRC.
(Stefano Spinelli, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Sezione di Forlì Cesena)