Mentre Edward Snowden continua a rimanere nel limbo giuridico dell’area di transito dell’aeroporto di Mosca, alla società mondiale si presenta una buona opportunità per riflettere sulle implicazioni del caso e non considerarlo solo un thriller politico-diplomatico con ampie ripercussioni mediatiche.
Come è noto, questo ex agente dei servizi di intelligence americani (Cia/Nsa) ha reso pubblici metodi e contenuti del Programma Prism, attraverso il quale lo spionaggio Usa, con la quasi certa assistenza delle più importanti aziende del mondo informatico (Microsoft, Google, Apple, Facebook) ha avuto accesso ai dati privati di milioni di utilizzatori di internet. La gigantesca rete di informazione e comunicazione, emblema di un pianeta globalizzato e sinonimo di libertà, è stata convertita in un veicolo di controllo e dominazione.
Molti hanno accostato Snowden a Julian Assange e al caso WikiLeaks. Credo che vi sia una differenza: per quanto le motivazioni politiche di entrambi possano sembrare simili (mettere a nudo le pratiche occulte del potere), Assange è per definizione un ficcanaso, un hacker, uno che non vede questioni morali nell’intromettersi nella vita privata di estranei. Snowden, invece, ha denunciato proprio un comportamento simile da parte dei servizi segreti del suo Paese. E’ certo che nessuno dei due ha scelto la strada dell’estorsione e del ricatto con la grande quantità di informazioni che è passata per le loro mani (o meglio, sul loro schermo), tuttavia è da segnalare la differenza, almeno finché il futuro di Snowden non dimostri il contrario.
Crónica Viva (l’organo ufficiale della prestigiosa Asociación Nacional de Periodistas del Perù), ha rivelato che l’Unione europea, o almeno il governo tedesco, erano a conoscenza del Programma Prism e hanno permesso le attività dei servizi segreti statunitensi.
Una conferma si è avuta dai governi europei che, cedendo a evidenti pressioni americane, hanno bloccato per parecchie ore l’aereo ufficiale che trasportava il presidente boliviano Evo Morales, con il sospetto che portasse con sé Snowden, poi rivelatosi falso. Tuttavia, nessuno dei Paesi coinvolti ha presentato le sue scuse alla Bolivia per l’accaduto.
La vicenda Snowden, pur non conclusa, pone una volta di più in luce la doppia via degli Stati Uniti in materia di libertà: ciò che si è usi proclamare al proprio interno non è ciò che si pratica al di fuori delle proprie frontiere. Viene alla mente quella scena di Codice d’onore in cui un arrabbiato Jack Nicholson ricorda al sottile avvocato militare interpretato da Tom Cruise che la libertà goduta negli Stati Uniti deriva dalla “difesa” che della stessa si fa a Guantanamo.
Anche se costituisce il comportamento tipico di tutti gli imperi, è chiaro che l’orologio statunitense è indietro: come sostiene Jorge Castro, il mondo del XXI secolo non si può dominare, lo si può solo guidare. E questa guida non sarà monocratica degli Usa: la Cina sta attenuando le sue politiche protezionistiche e di svalutazione permanente dello yuan per iscriversi e giocare definitivamente tra i grandi del pianeta.
Quantunque gli Stati Uniti continuino a essere simbolo di legittimità istituzionale, accreditata da più di 230 anni di democrazia, e la produttività della loro economia continui a dimostrarsi solida malgrado la crisi eccezionale, rimane chiaro che in un’economia globalizzata, in cui uno starnuto in un angolo del mondo può provocare l’influenza dall’altra parte del globo, la governabilità dell’ordine mondiale non può che basarsi su una complessa architettura politica, le cui basi non sono state ancora esplicitate in questo periodo di indiscussa transizione storica. Il G20 e il Bric dimostrano che viene messa in discussione una leadership politica degli Usa concepita in solitudine, o in compagnia dei soli alleati europei.
Inoltre, il caso Snowden rivela tre problematiche, come minimo, che la società mondiale deve affrontare: la prima è la governabilità del sistema globale, come si è già cercato di spiegare; la seconda, strettamente legata alla prima, è che alla globalizzazione culturale ed economica deve seguire anche una globalizzazione del diritto.
L’internazionalizzazione della giustizia penale, con la costituzione della Corte penale internazionale, non corrisponde pienamente a questa esigenza, dato che è più legata a fatti come la violazione dei diritti umani, al terrorismo di Stato e ai crimini di lesa umanità come conseguenza diretta degli orrori della guerra, di cui la società internazionale ha preso coscienza a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
La Corte ha gravi problemi di funzionamento e di concezione giuridica a causa delle interferenze politiche degli Stati potenti, come risulta dalla meticolosa analisi condotta da Danilo Zolo in La giustizia dei vincitori, da Norimberga a Bagdad. Ciò di cui si parla qui è il necessario rinnovamento del diritto internazionale (non solo in materia penale), affinché le garanzie costituzionali riconosciute alla persona a livello locale lo siano concretamente anche a livello globale. Anche se è argomento di un’analisi complessa da condurre separatamente, la recente visita di papa Francesco a Lampedusa è in linea diretta con questa urgente esigenza di globalizzazione del diritto.
La terza problematica che si evidenzia è il vuoto legale che domina in internet. La vicenda Snowden rivela chiaramente che l’utilizzatore della rete, così come beneficia dei grandissimi vantaggi che la rete offre, è però anche alla mercé di quelli che hanno i mezzi, le possibilità e la temerarietà necessari per appropriarsi dei suoi dati privati e dei suoi affari. Nella maggioranza dei Paesi del mondo, inclusi quelli più sviluppati, non esiste una normativa efficace che regoli l’uso di internet e delle reti sociali, che condanni gli abusi delle imprese operanti nel sistema e che protegga gli utilizzatori dai reati pubblici e privati degli spioni, sia che si tratti di un semplice hacker o della Cia stessa.