Antonij Blum (1914-2003), metropolita e figura di spicco nell’ortodossia russa del XX secolo, diceva che “la Chiesa è il ‘luogo’ attraverso cui anime vive si incontrano con il Dio vivo e in misura non minore si incontrano fra loro”. Parlando della Chiesa possiamo ripetere senza timore di sbagliare ciò che Pasternak dice della poesia: essa non è una forma, ma è parte stessa del contenuto, una sua piccola parte, interiore e misteriosa. Non è un contenitore, ma un luogo; non è il tempo di durata della liturgia o della regola di preghiera, ma una disposizione interiore; non delle norme di comportamento, ma la condizione dell’incontro; non delle forme esteriori, ma il significato che vi è sotteso.
Due drammaturghi e filosofi francesi hanno espresso quasi contemporaneamente in due celebri aforismi l’attuabilità e il senso della comunione (il metropolita Antonij li citava spesso entrambi). Sartre dice che l’inferno sono gli altri, e Gabriel Marcel afferma che dire all’altro “ti amo” significa dirgli “tu non morirai mai”. A questi giudizi diametralmente opposti sull’incontro se ne può aggiungere un altro, appartenente a Rozanov, cui pure fa riferimento il metropolita Antonij nelle sue riflessioni sull’incontro: l’uomo per l’altro è come un “pezzo di legno”. L’incontro fra le persone è dunque impossibile; oppure è inevitabile, ma come una maledizione; oppure, ancora, l’incontro è possibile ed è la condizione della vittoria sulla morte. Tutte queste posizioni sono già presenti nella Sacra Scrittura.
Il metropolita Antonij parla di incontro con l’uomo e con Dio, quasi come se fossero la stessa cosa: “Ogni incontro è un avvenimento di straordinaria importanza, e quello con Dio lo è in modo particolare”. Pur sottolineando la maggior intensità e radicalità del nostro incontro con Dio, equiparabile al Giudizio ultimo, non vede una differenza fondamentale fra questi due incontri. E la Chiesa è la condizione di questo duplice e insieme unico incontro. Questo perché l’incontro con Cristo è l’avvenimento originario. Incontrandosi con Cristo, l’uomo si incontra con se stesso e con gli altri. Invece, senza questo incontro, non è in grado di incontrare nessuno. Come nell’oscurità fisica: non solo non vediamo le persone o il mondo circostanti, ma non sappiamo se i nostri occhi sono aperti, se ci vediamo o no.
Ciascuno di noi, probabilmente, ricorda la sensazione di panico provata nell’infanzia, quando ci sembrava che il buio non fosse fuori, ma che noi fossimo accecati. Ed ecco che in questa oscurità (così il metropolita descrive l’incontro di Cristo con il cieco nato, Gv 9) si accende una luce, e la persona vede. La prima cosa che vede è lo sguardo di Cristo che la fissa. E solo dopo, con l’aiuto di Cristo, alla Sua luce, comincia a scorgere le altre persone – simili ad alberi che camminano (cfr. Mc 8,23). Il metropolita pone la domanda: dove avviene questo incontro?
L’incontro fra le persone avviene in Cristo. Dopo aver conosciuto Cristo, dopo aver imparato a distinguerne i lineamenti, l’uomo comincia a vedere una somiglianza con Lui o a vedere Lui stesso in coloro che prima non riusciva a vedere, o in cui vedeva delle belve o viceversa il proprio pasto – cioè, in definitiva, qualcosa da sfruttare o da cui difendersi. E il luogo di questo incontro – il metropolita Antonij lo attesta con fermezza, in termini tradizionali e inattesi al tempo stesso – è il cuore.
Tutti noi siamo stati creati nell’atto dell’incontro e abbiamo la medesima natura di esseri incontrati dal Creatore, cioè di creature. “Il Signore ha chiamato ogni creatura per nome, non c’è creatura che sia nata in maniera anonima, senza nome, come qualcosa di indefinito, ogni creatura per Dio ha un’esistenza personale”. Questo significa che noi siamo fatti per l’incontro. La nostra consustanzialità è un incontro potenziale, che nel corso della vita siamo chiamati a realizzare in modo tale che l’universo abitato non diventi un caos, ma un luogo di incontro, anzi l’incontro stesso con il creato.
Tuttavia, come sappiamo, l’uomo ha tradito la propria vocazione, e l’incontro con Dio nella storia si è tramutato per lui in condanna e separazione. Proprio per trasformare nuovamente questa separazione in incontro, avviene l’incarnazione del Figlio di Dio.
Alla luce di questa convinzione il metropolita Antonij legge il Vangelo. I racconti della vita di Gesù sono una storia d’amore, la storia di un incontro dell’amore. L’incontro con l’altro in Cristo si trasforma da urto casuale o fagocitazione in rapporto di amore e di comunione. In questo modo, tutto diventa passo o aspetto che ci introduce all’esperienza della Chiesa: tutto diventa luogo, contenuto o condizione dell’incontro, del fatto che Cristo è in mezzo a noi.