Il confessionale, grembo di misericordia che rigenera il mondo. Così si intitola la prefazione che papa Francesco ha scritto al libro di Andrea Tornielli e Alver Metalli con padre Luis Dri, che è stato per anni confessore del Papa quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires. Il libro è da poco uscito per i tipi della Rai/Eri, con il titolo Non aver paura di perdonare. Il confessore del Papa si racconta. “Qualunque sia stata la spinta, quando una donna, un uomo, un giovane o una persona anziana si accostano al confessionale, bisogna far percepire loro l’abbraccio misericordioso del nostro Dio”: in queste parole si riassume non solo il libro, ma anche tutta la missione ecclesiale del pontificato del Papa argentino.
La misericordia non è una categoria sentimentale, ma per usare un termine di Hans Urs von Balthasar, un avvenimento teodrammatico. Così chiamava Balthasar il dramma dello scontro tra la libertà dell’uomo e quella di Dio. Questo “dramma”, ricorda il Papa nella prefazione, può essere incontrato solamente con un forte senso di umiltà. “San Leopoldo Mandic era solito rivolgersi con queste parole al penitente: ‘Abbia fede, abbia fiducia, non abbia paura. Vede, anch’io sono un peccatore come lei. Se il Signore non mi tenesse una mano sulla testa, farei come lei e anche peggio di lei’. Questo è vero per tutti noi! Nessuno dei peccati, che abbiamo ascoltato o di cui abbiamo letto nella nostra vita, può essere separato con una linea netta da ciò che potremmo fare noi, ‘se Dio non ci tenesse una mano sulla testa’”.
La misericordia non è sentimentalismo e neppure intimismo. Essa ha una dimensione sociale, come fa notare padre Dri, anche lui padre cappuccino, come san Leopoldo appena citato: “Dove c’è misericordia c’è un punto di contestazione dell’egoismo, dell’affermazione di sé, una barriera al dilagare dell’intolleranza e della violenza, ma anche un principio attivo di riconciliazione. La misericordia accetta che non io ma un Altro sia il principio ordinatore del mondo. La misericordia comincia con Dio che fa essere l’uomo e ha misericordia di lui, e continua con l’uomo che imita il comportamento del Signore perché ne sperimenta i benefici anche nella sua vita collettiva, organizzata in società. In questo senso la misericordia è un atteggiamento profondamente sociale”.
Il teodramma si risolve quando la libertà finita dell’uomo comincia ad obbedire alla libertà infinita di Dio, che è ciò di cui non si può pensare il più grande — id quod maius cogitari nequit — nella sua volontà di donare a tutti l’amore gratuito, che è il punto di fuoco del Suo Essere. E questo suo amore gratuito si manifesta in tanti piccoli gesti, che sono tenerezza che nasce della tenerezza di Dio.
Dice il Papa nella prefazione: “E se è vero che viviamo tempi difficili, quella che ho più volte definito una ‘guerra mondiale a pezzi’; se è vero che viviamo in tempi di terrore e di paura, per la violenza cieca che ci appare priva di qualsiasi umanità, è vero anche che gli esempi positivi, grazie a Dio, non mancano. Ogni segno di amicizia, ogni barriera scalfita, ogni mano tesa, ogni riconciliazione, anche se non fa notizia, è destinata a operare nel tessuto sociale”.
Il papa ha parlato più volte (la prima volta il 24 marzo 2014) di un sacerdote che lo aveva colpito perché gli aveva dato una risposta sorprendente sulla misericordia di Dio. Padre Dri gli chiese, quando allora era ancora arcivescovo, un’opinione su uno scrupolo che a volte aveva di perdonare troppo. Come se si chiedesse se non era troppo “sentimentale” — e troppo poco consapevole di quello che ho chiamato il carattere teodrammatico della misericordia. Bergoglio, dopo aver dato precise risposte in materia, su questioni particolari che padre Dri gli aveva posto, rispose con una domanda. Cosa fa quando ha questo scrupolo? Il sacerdote gli rispose con la frase ormai famosa: “Sa, quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo, e Gli dico: Scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio! E me ne vado tranquillo…”.
Questa non è una storiella sentimentale, ma esprime uno degli aspetti più profondi della teologia del ventesimo secolo: sulla croce, dicono Adrienne von Speyr e von Balthasar, Cristo confessa tutto il peccato del mondo. Questo è il “cattivo esempio”: Cristo non denuncia il peccato del mondo, ma lo confessa portandolo sulla Croce e vedendone le conseguenze nella discesa all’inferno. Così ottiene dal Padre, nel giorno della Risurrezione, l’assoluzione per noi. Su questo avvenimento di confessione ed assoluzione del peccato del mondo in Cristo si fonda la teologia della misericordia di cui si parla in questo libro. E si fonda anche tutto il senso teologico del pontificato di Francesco!
Tornielli e Metalli sono andati a cercare questo sacerdote, di cui sapevano solo ciò che aveva detto il Papa. “Nessun indizio, nel colloquio con i parroci, su chi fosse questo sacerdote. Soltanto un’indicazione sull’età, un po’ più giovane del Papa”. Ed in altri interventi avevano appreso ancora che era stato un uomo di governo nel suo ordine e che ora viveva in un santuario. Da questo incontro è nato il libro che presento in questa breve recensione, pieno di vita, di una vita semplice, della vita semplice di un figlio di contadini, e così ricolmo della tenerezza certa che può venire solo da Dio.
E’ pieno di dettagli vivissimi sulla vita di padre Dri come cappuccino in Argentina, del Papa in Argentina, sull’andamento del conclave e dei conclavi precedenti. Per esempio di quello in cui un altro argentino avrebbe potuto diventare papa, il cardinale Eduardo Pironio, nel 1978. Padre Dri racconta di accuse diffamanti da parte di persone che erano vicino ai due cardinali argentini, del quale il secondo finalmente è diventato Papa, circolate durante o poco prima dei rispettivi conclavi.
Nel libro vi sono anche pensieri profondissimi come questo: “Il vuoto interiore che sperimentiamo è dovuto a un difetto di consapevolezza, che lascia Dio in lontananza”. In questo pensiero si esprime tutta la sapienza di questo anziano cappuccino di 89 anni, che per la sua vivacità il Papa riteneva più giovane di lui nell’osservare in modo del tutto realistico questo nostro mondo che affonda nel vuoto interiore del nichilismo più disperato. Si esprime però anche il desiderio di un padre di far conoscere a questo mondo l’insuperabile profondità ed altezza della misericordia di Dio.
Dei critici di questo “Papa degli umili e dei poveri” Padre Dri dice una frase con cui concludo questo mio articolo: “Li ascolto, e quando capisco che c’è spazio per un dialogo mi permetto di suggerire loro che guardino il suo magistero, e anche il suo esercizio del pontificato, nella sua totalità e non si fissino su una singola parola o un solo gesto, per di più riferiti da mezzi di comunicazione che a volte difendono determinati interessi e non lo hanno in simpatia. Però mi addolora, sono sincero, sentire certi discorsi in bocca a confratelli o a fedeli peraltro devoti. In ogni caso sono una esigua minoranza. Non trovo riscontro di atteggiamenti critici nella base del popolo di Dio”. Sulla lettera apostolica Amoris Laetitia, pur essa criticata, il giudizio di padre Dri è di estrema utilità: “Io l’ho analizzata e commentata assieme a un gruppo di famiglie e devo dire che quando viene letta e capita le persone la trovano di grande utilità per le loro vite”.
Utilità per la vita, non in primo luogo per l’astrazione concettuale. Questo è il senso del pontificato di Papa Francesco. “Non c’è azione o parola di Francesco che non abbia un orizzonte missionario” (Padre Dri). È la missione è al servizio di ciò che aiuta a vivere, non serve primariamente a risolvere il problema di chi abbia ragione.