Il libro di Salvatore Abbruzzese Il miele e la neve. Il ritorno di chi si era perso, l’avventura della Pars (cooperativa sociale Pars “Pio Carosi”, ndr) ha il merito trattare in maniera diretta il tema delle dipendenze patologiche dentro una cornice ampia ed umana. Normalmente il problema droga viene occultato il più possibile anche dagli organi di informazione che se ne occupano quasi sempre malvolentieri. Eppure da cinquant’anni il consumo è cresciuto molto tra i giovani.
Leggendo il libro, invece, il cuore dell’uomo respira. Già i titoli dei racconti delle persone guarite ci fanno sobbalzare: “Ha fatto tutto mia madre”, “Sei sempre la stessa, ma diversa”, “La comunità non è altro che la vera vita”.
Il testo di Abbruzzese inizia con il capitolo “Rientrati nel mondo”. I racconti, che sono stati videoregistrati, sono precisi, i ricordi del passato sono dettagliati.
Raffaella racconta: “Quando mio padre è morto sono stata in collegio per 14 mesi, avevo 8 anni ed ero piccolissima. Mio padre stava in sanatorio, ed io sono stata l’unica ad essere allontanata, sono stata allontanata dalle mie sorelle. Io non riuscivo a capire perché io dovessi essere allontanata e loro no. Mi ricordo questa fila indiana di bambini. Abbiamo avuto i pidocchi, ci tosavano come le pecore”. Raffaella dopo 20 anni di dipendenza da alcol vive in casa, lavora, è felice.
Oppure Benedetto, giovane consumatore di eroina e cocaina uscito da Pars da circa dieci anni, oggi è capo-cantiere in una cooperativa edilizia ed aiuta altri nel percorso di reinserimento socio lavorativo. “Io — racconta Benedetto — ero entrato in Comunità pensando di segnarmi a scuola perché ho fatto fino alla terza media, primo superiore … tutto volevo fare tranne che il muratore e invece oggi mi ritrovo a farlo di nuovo. Ho una squadra di una decina di persone ed è un’impresa edile a tutti gli effetti, sono soddisfatto di quello che faccio del rapporto che ho con le persone”.
Oppure Mart,a che nel ritorno a casa incontra il suo ex datore di lavoro che esclama “Sei sempre la stessa ma diversa”. Lei stessa, sorpresa, commenta: “ho imparato a conoscere me stessa, quella che sono, ed è un lavoro che una persona dovrebbe fare tutti i giorni”.
La seconda parte del libro dal titolo “Dentro la Pars” vede l’autore impegnato a conoscere la sorgente di tale energia. L’autore descrive la vita presso il Villaggio San Michele facendo parlare alcuni dei responsabili e delle famiglie che lì vivono.
Il nesso — dice Nicoletta — è la persona, l’amore alla persona. La bellezza è un’evidenza che suscita un’attrattiva. Quando vado in Comunità e vedo l’ordine che vi regna penso alla mia casa, alla mia vita, mi colpisce. L’ordine esterno non è fine a se stesso, sostiene ed educa l’ordine interno”.
Oppure Giorgio, che in un passaggio di forte intensità dice: “Sarebbero da usare le frasi di Papa Francesco che sono quelle più chiare e convincenti: la persona che non si apre all’altro, si chiude e tende inevitabilmente ad avvizzire, è una vita che rinsecchisce. Noi questo non lo viviamo nella pienezza che richiederebbe, però per grazia lo abbiamo visto in alcune persone e vediamo che, stando dietro a questa traccia, anche la nostra vita mantiene un minimo – o un massimo, o un medio – di vitalità”.
Non è la tristezza infinita del povero Lou Reed che cantava “Quando l’eroina è nel mio sangue e quel sangue è nella mia testa ringrazio Dio, sto bene come un morto”. Ecco, la vita descritta nel Miele e la neve insegna a piangere per i morti quelli vicini e lontani. La vita presso il Villaggio San Michele è un inizio, un inizio sempre.
Credo che il testo scritto da Abbruzzese rappresenti una pietra miliare, perché affronta il tema della perdita di sé nelle droghe senza sconti né sentimentalismi, sottolineando come “dalla droga si può e si deve uscire”.