Nel suo ultimo libro Modernità e individuo. Sociologia dei processi culturali (La Scuola 2016) Salvatore Abbruzzese si confronta, con parole di Ernst Troeltsch, con una domanda tanto centrale quanto ignorata dai dibattiti attuali: che cos’è il “contenuto spirituale di un’epoca” come la nostra? Per non cadere in risposte facili e fuorvianti, bisogna che innanzitutto si faccia chiarezza su come intendere “la modernità” – quale progetto di civiltà e cultura, non semplicemente quale insieme dei processi di razionalizzazione, individualizzazione e secolarizzazione, come comunemente recita la sociologia. La prospettiva di cui si avvale Abbruzzese per comprendere queste tre dinamiche in una nuova luce, non è semplicemente la scoperta che tutte e tre in effetti caratterizzano molte culture, e anche la nostra sin dalle sue origini antiche. Basti pensare al fatto che ogni religione monoteistica produce una forma di secolarizzazione dello stato, così come la forma politica dello stato ha delle ricadute sulle istituzioni religiose. Ma allora bisogna innanzitutto leggere la modernità come specificità di un processo sociale che caratterizza ogni società in quanto tale, di modo che gli individui si ambientino attraverso la relazione con altri.
Precisamente questa dimensione è stata estromessa da quella corrente di sociologia moderna che si è impostata come scienza rigorosa e positiva, credendo di poter spiegare i processi sociali in modo “positivistico”, ossia come processi oggettivamente descrivibili e prevedibili secondo la semplice categoria della causa efficiente (e che può consistere concretamente in “interessi”, “progresso”, “consumo” ecc.). Ma già uno sguardo un po’ più preciso sui “classici” della sociologia quali Émile Durkheim, Max Weber, Alexis de Tocqueville o Ernst Troeltsch, ci dà una prospettiva molto più complessa sulle dinamiche culturali; accanto ai processi morfologici, descrivibili appunto tramite l’analisi dei sistemi sociali, dei processi storici e delle regole vigenti, infatti, esiste anche una dimensione fisiologica, che consiste degli ambienti morali, “formati da idee”. Ciò vuol dire i principi e i valori morali che sottendono alle dinamiche sociali.
Certamente questa visione morale nei nostri tempi non è più imposta da tradizioni o autorità, ma prodotta dalle scelte stesse degli individui. Però, conclude il nostro autore, sbaglia gravemente chi interpreta la cultura moderna come risultato di una privatizzazione della morale e della religione, e di una riduzione dell’ambito sociale a “una specie di contenitore, vuoto di qualsiasi principio che non siano le pure regole di funzionamento”. Un tale fraintendimento della modernità, alla cui base sta niente meno che una “falsa antropologia”, non solo ci fornisce una prospettiva distorta su che cosa sia la modernità, ma ci disorienta anche gravemente nel tentativo di comprendere il “contenuto spirituale” della nostra epoca: una società ridotta alle dinamiche degli interessi individuali, delle tecnologie e del consumo.
Più concretamente, Abbruzzese individua tale riduzionismo metodologico in sociologia come il vero motivo del paradigma di secolarizzazione. Contrariamente, con Tocqueville, Weber e Troeltsch, egli dimostra che anche nel mondo moderno è impossibile interpretare i mutamenti culturali senza considerare il fattore religione – non solo in senso morfologico, cioè come forza sociale di organizzazione, ma anche in senso fisiologico, ossia quale fattore centrale, spesso inconsapevole, per le scelte morali degli individui. Ed è precisamente l’ignoranza di questa dimensione fisiologica che causerebbe anche la miopia specifica nell’affrontare la sfida migratoria attuale che divide le due culture – “moderna” la prima, europea, “tradizionale”, la seconda, quella degli immigrati. In questa prospettiva, però, risulta esclusa ogni comunicazione dell’una con l’altra: mentre la prima rifiuta morfologicamente la dimensione morale e religiosa, interessandosi solo ad un’estensione sempre più sconfinata dei diritti, la seconda si oppone proprio a questo individualismo dei diritti, facendo derivare ogni legislazione dalla mera cultura tradizionale, morale e religiosa. A livello morfologico, quindi, ogni incontro è per principio escluso. Secondo Abbruzzese, infatti, bisogna integrarlo con la prospettiva fisiologica secondo la quale sono sempre gli individui a costituire i contesti morali e gli ambienti culturali, che proprio per questo non si lasciano ridurre a meri contenitori vuoti e indifferenti nei confronti delle culture. Solo in questo modo un vero incontro viene reso possibile.
Con questa prospettiva attuale Abbruzzese esplicita perché urge un ripensamento della sociologia a partire dalle sue intuizioni d’origine. Proprio in vista delle sfide che la nostra società dovrà affrontare in questo 2018, comprendere il “contenuto spirituale” della nostra epoca sembra un punto di partenza indispensabile. Il libro di Abbruzzese ci fornisce il metodo adatto per affrontare questo impegno faticoso ma illuminante.