In sanscrito Mangalyaan significa “viaggio verso Marte” e il nome è stato scelto appositamente per la sonda che martedì mattina è partita dal Satish Dhawan Space Center, lanciata dal razzo Pvsl-XL verso il Pianeta Rosso. Con questa missione l’India si inserisce nella gara per l’esplorazione di Marte e intende far sentire il suo peso di grande potenza tecnologica anche nel settore spaziale.
La sonda, dopo una prima fase in orbita terrestre, in dicembre inizierà il viaggio di 300 giorni verso la meta, che dovrebbe raggiungere nel settembre 2014 per poi procedere all’esplorazione dell’atmosfera e della superficie del pianeta.
Le agenzie spaziali di tutto il mondo seguono con interesse, e qualcuno con una punta di scetticismo per i costi estremamente bassi, tutta l’operazione. Ne abbiamo parlato con Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana).
Questo lancio indiano costituisce un avvenimento abbastanza nuovo nel panorama spaziale…
In effetti le nazioni e le relative agenzie spaziali che finora sono riuscite a progettare e lanciare una missione verso Marte non sono poi molte, anzi sono solo quattro: la Russia, la Nasa, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la giapponese Jaxa; quest’ultima però ha dovuto registrare il fallimento dell’inserimento nell’orbita della sonda Nozomi nel 2003.
Come mai l’India ha scelto proprio Marte per questo suo exploit spaziale?
Ci sono vari motivi. Un motivo è che Marte è un obiettivo estremamente ambizioso dal punto di vista tecnologico ma al tempo stesso abbastanza noto da poter progettare per bene la missione, soprattutto se si vuole entrare in orbita. Una seconda ragione è che Marte è comunque un obiettivo importante sia dal punto di vista scientifico che da quello della esplorazione futura dei pianeti: è e rimane l’obiettivo primario di tutte le maggiori agenzie spaziali del mondo.
L’India ha buone probabilità di successo?
Ho avuto modo di poter andare in India per una visita ufficiale e di osservare da vicino la situazione del settore aerospaziale indiano. Loro hanno sicuramente alcune eccellenze: anzitutto i lanciatori, come questo Pslv (Polar Satellite Launch Vehicle) che è decollato ieri. Poi hanno una grande tradizione culturale, specialmente nella matematica e nelle scienze. Non hanno una grandissima tecnologia di punta relativamente agli strumenti, però stanno investendo in questa direzione e quindi ritengo che riusciranno sicuramente a raggiungere anche qui dei buoni risultati. Non ultimo hanno una larghissima base di personale tecnico scientifico nelle università e nei centri di ricerca che può alimentare il settore. Tenga presente che andare nello spazio è uno degli strumenti migliori per aumentare la capacità di produzione di tecnologie di una nazione: lo spazio è quindi una punta di diamante per una nazione come l’India e per qualsiasi nazione che intenda contare a livello mondiale in campo tecnologico.
Per questa missione così impegnativa gli indiani hanno operato autonomamente o attraverso collaborazioni internazionali?
Credo che si tratti di una iniziativa prevalentemente autonoma; con qualche tipo di supporto soprattutto da parte dei russi. Ricordo che tre anni fa, parlando con loro di potenziali imprese spaziali congiunte, mi dissero che erano interessati ma solo dopo questa, che per loro è come una prima prova che serve anche per testare le loro reali possibilità a questo livello.
Cosa cambia negli assetti spaziali mondiali con questo passo avanti dell’India?
Intanto per il momento sono in orbita attorno alla Terra, poi devono dirigersi verso Marte e poi arrivarci. Ho detto che la missione è relativamente facile, più che non andare su Mercurio o verso Giove e Saturno, ma è pur sempre un altro pianeta ed entrare nella sua orbita è comunque un’operazione molto complicata. Tant’è che anche i russi hanno mandato varie spedizioni verso Marte, ma di fatto ancora nessuna con pieno successo; hanno sempre dovuto registrare, prima o poi degli insuccessi. Finora solo gli americani, che sono ancora là con Curiosity, e l’Europa con Mars Express sono riusciti nell’intento.
Quindi?
Aspettiamo che raggiungano il traguardo. Detto questo, nel momento in cui arriveranno e dimostreranno di essere in grado di fare quello che tutti speriamo possano fare, diventerà un’altra nazione con cui si dovrà dialogare in quello che è uno sforzo per l’esplorazione dei pianeti al fine si arrivare all’esplorazione umana degli stessi. E questa non potrà che essere un’impresa comune. Nessuna nazione, neppure gli Stai Uniti, può pensare di andare a esplorare altri mondi da sola: è un’impresa complessa che riguarda l’umanità tutta. Quindi avere un’altra nazione, come l’India, in grado di dare un contributo positivo a questo fine è molto importante.
(Mario Gargantini)