Dunque i decreti ci sono, entro i termini necessari per evitare il decadere delle delega, come era già stato osservato su queste pagine. Non si può non dare atto all’attuale ministro di aver bruciato le tappe degli ultimi anni di produzione legislativa, anche se il percorso alla fine non è stato breve, né completo.
Tre considerazioni.
1. Il cammino di questa ennesima riforma non è stato breve. Si spera che un prossimo ministro, purtroppo non molto lontano, non avvii una sua nuova riforma, visto l’andazzo degli ultimi dicasteri. La scuola italiana è al massimo dello stress di cambiamenti e contro-cambiamenti, provvedimenti, modifiche e contro-modifiche, dove purtroppo non sono state affrontate con coraggio le questioni principali dalle quali dipende il rinnovamento della scuola.
Si era iniziato col documento per la “Buona Scuola” del 3 settembre 2014, ricco di promesse e novità. Poi è seguita la consultazione nazionale (stile ministero francese) fino al 15 novembre 2014. A dire il vero si è trattato di un dibattito che, assieme ai no, secondo la nostra scolastico-sindacale tradizione, ha presentato molte speranze. In quel documento c’erano in effetti alcune novità: la ripresa dell’autonomia scolastica, le buone novità sul reclutamento degli insegnanti, l’apertura — pur timida — sul rapporto tra scuola statale e scuola paritaria. Ma nell’iter legislativo queste sono tutte sparite.
Se si legge poi il pare della Conferenza Stato-Regioni la delusione aumenta: praticamente ci si limita a poche piccole questioni relative alle Regioni a statuto speciale!
I gruppi che dovevano provvedere alla stesura delle bozze furono insediati dal Miur il 4 marzo 2016, ma il lavoro di stesura vero e proprio non è avvenuto in quell’ambito.
Ora staremo a vedere se l’iter per la promulgazione (ministero delle Finanze, presidenza della Repubblica, Gazzetta Ufficiale) riuscirà a mantenere i tempi. La scadenza da rispettare tassativamente resta il 16 aprile. Qualcuno suggerisce che da questi potrebbero dipendere eventuali ricorsi da parte delle due regioni dove il sistema della formazione professionale funziona bene, cioè di Lombardia e Veneto. Vedremo.
2. Il cammino di questa ennesima riforma non è stato breve, si diceva, ma il percorso non è neppure completo. La stessa legge 107 nella sua versione finale ha esplicitamente escluso “le” tematiche nodali dalle quali sarebbe dipeso un vero cambiamento del sistema scolastico italiano: autonomia scolastica, sistema federale scolastico, revisione dell’impianto ordinamentale della scuola secondaria di secondo grado, rinnovamento della scuola media, governo delle scuole statali, sistema pubblico paritario, valutazione dei docenti e del personale non docente, superamento del valor legale del titolo di studio. Rispetto al documento della Buona Scuola l’ostilità sindacale, le resistenze di una parte dell’apparato amministrativo, gli scontri politici anche all’interno del Pd alla fine hanno avuto la meglio.
Il cammino è incompleto anche a causa delle deleghe alle quali non si dà attuazione, prima fra tutte la necessaria semplificazione dell’elefantiaca normativa statale. Ad esempio il gruppo di lavoro per la delega sulla revisione del Testo Unico delle norme per l’Istruzione si è “disperso”.
3. Cosa abbiamo ora nelle mani? Cosa avremo nelle scuole? In attesa di vedere i testi definitivi e quindi di misurarsi con un quadro chiaro, possiamo dire che lo stretto vincolo che alcune deleghe ponevano (è il caso della valutazione, dell’istruzione professionale, della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti) e le stesse vicende di scrittura e riscrittura dei testi dei decreti nelle Commissioni parlamentari (ma è avvenuta lì la scrittura?), hanno alla fine condizionato un quadro dove non si vedono sostanziali cambiamenti.
In generale il sistema si irrigidisce e si centralizza (è il caso ad esempio dell’istruzione e formazione professionale); manca all’appuntamento una vera fiducia nell’autonomia e libertà delle scuole (che praticamente non avranno peso nella futura formazione degli insegnanti). Così come manca una coraggiosa ventata di maggiore modernità: i vari ordini di scuola (specie la scuola media e superiore) restano con i loro sostanziali problemi, primo fra tutti l’astrattezza dei curricoli e la loro lontananza dalla vita reale di ragazzi e giovani.
Si vedono invece diversi “aggiustamenti” (il lavoro del “cacciavite” lo chiamava Fioroni): è il caso di una certa semplificazione dell’esame di licenza media.
Ci sono poi alcuni arretramenti: ad esempio la mancata collocazione di prove nazionali uniche (Invalsi o similari) negli esami finali della scuola secondaria del primo e secondo ciclo è proprio il segno della generale paura che il mondo sindacale ha inoculato alla scuola.
Ci sono nuove e più complicate procedure: è il caso del nuovo sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti che scoraggerà i pochi giovani (specie maschi) motivati alla professione.
Ci sono infine mutamenti molto di facciata: è il caso sia di un mancato rinnovamento della formazione e istruzione professionale che, pasticciato com’è potrebbe generare contenziosi di natura costituzionale con le Regioni, a meno che queste si accontentino dei piccoli vantaggi ottenuti. Così come della deludente soluzione dei nuovi linguaggi dell’arte e della musica che, nella patria di queste arti, con buona pace di tutti resteranno collaterali ed estranee al curricolo scolastico dei nostri ragazzi.