Sul Corriere della Sera di venerdì è apparso un articolo di Gian Antonio Stella che da un po’ di tempo si occupa anche di scuola. In quel vistoso articolo a tutta pagina Stella divide sostenitori e difensori di Invalsi in due partiti assolutamente inconciliabili. Da una parte ci sarebbero i bravi, cioè coloro che vogliono un metodo unico e trasparente di valutazione e dall’altra i cattivi, cioè coloro che lo rifiutano.
Messa così la questione certamente spinge a tifare per Invalsi e sicuramente gli oppositori fanno una magra figura. Ma Invalsi non deve cercare tifosi.
Invalsi è — a mio parere — un validissimo tentativo di uscire dal soggettivismo assoluto delle scuole. E nessuno può negare l’importanza di fissare modalità omogenee a livello nazionale per la rilevazione dei livelli di apprendimento.
Ma il problema vero è quale uso il ministero possa fare dei risultati delle rilevazioni. Al tempo stesso, l’altro problema vero è che il ministero e la sua burocrazia non riscuotono la fiducia di quasi nessuno dentro la scuola italiana. La nostra scuola è pervasa da timori, delusioni, disincanto, a volte persino rassegnazione.
Quindi non è tanto in gioco la democrazia, come dice Stella, ma il governo del sistema scolastico.
Fino ad oggi le ricadute di 15 anni di Invalsi sull’organizzazione del sistema scolastico sono state praticamente nulle e tutti i problemi ultradecennali sempre nominati (assunzioni, potere dei presidi, trasferimenti, carriere, curricolo alunni, eccetera) sono rimasti insoluti — anzi, inaffrontati.
Per ora, l’unico risultato reale di Invalsi, in parte consapevole e voluto, in parte no, è l’aumento dell’ansia di prestazione sia negli alunni che negli insegnanti. Il nostro sistema scolastico è percorso da un grado altissimo di ansia e qualunque osservatore straniero europeo lo può confermare, come ho potuto personalmente rilevare.
Da noi la mancanza di certezze nel processo formativo è una grande generatrice di ansia e di conflitti come avviene ormai in moltissimi altri campi della vita sociale ed istituzionale, a cominciare dalla giustizia.
La paralisi nelle procedure di governo del sistema scolastico impedisce una riflessione ed un’evoluzione serena e accettata sia dei sistemi di rilevazione che delle conseguenze dei risultati Invalsi. La grande e per nulla sorprendente differenza dei risultati tra nord, centro e sud, ad esempio, quali conseguenze potrebbe e dovrebbe produrre? Nessuno lo dice mai e nessuno lo sa.
Quindi tutto ciò che si dice di Invalsi va sempre rapportato alla situazione caotica del governo del sistema scolastico in generale. Non possiamo arrivare alla Tac per la diagnosi rimanendo sempre all’aspirina come cura.
Ma, pur rinviando a tempi lunghi la dialettica tra le questioni delineate, c’è un aspetto di utilità dell’Invalsi che vorrei sottolineare fin d’ora e che viene sempre ignorato: le prove ed i risultati possono servire non solo a comprendere i livelli raggiunti, ma anche a definire meglio i livelli perseguibili e desiderabili.
Questa fase del lavoro formativo è (e sarebbe) molto importante per il lavoro dei docenti durante tutto l’anno e per un’impostazione realistica e ragionevole del lavoro.
Sappiamo che anche nello svolgimento dei programmi c’è la discrezionalità quasi totale, con enormi differenze da docente a docente e da scuola a scuola. Conoscere meglio i livelli raggiungibili con facilità dalla grande maggioranza degli studenti in ciascuna annualità consentirebbe a docenti e genitori di agire con maggiore consapevolezza e misura, senza strappi o lassismi arbitrari. Ed anche di mettere a fuoco meglio l’area di difficoltà sulla quale agire con interventi mirati.
La ricaduta sul clima relazionale e anche sulla salute mentale di tutti sarebbe certa.