Sono passate sotto l’attento esame di tre supergruppi della ricerca biologica europea ed ora sono arrivate alla ribalta delle pubblicazioni scientifiche internazionali: sono le diatomee, ovvero quelle singolari alghe che producono circa il 25% dell’ossigeno immesso nell’atmosfera terrestre, il che equivale a una quantità analoga a quella prodotta dalle foreste pluviali tropicali. Ora per la prima volta si è potuta verificare la capacità delle diatomee di trasportare e metabolizzare l’anidride silicica; una scoperta che aiuterà a comprendere il ruolo di questa specie di alghe nei cicli biogeochimici degli oceani.
Le realtà che hanno permesso di raggiungere questo risultato sono due progetti finanziati dall’Unione Europea e una rete di ricerca di eccellenza. Il primo è stato il progetto Margenes (Marine phytoplankton as novel model organisms for genomic and post-genomic studies of environmental sensing and niche adaptation), che fin dal Quinto programma quadro ha in parte finanziato le ricerche per lo studio del potenziale di diatomee e cianobatteri in relazione a un loro eventuale impiego come modelli scientifici. Poi è venuto il progetto Diatomics (Understanding diatom biology by functional genomics approaches) che, nel Sesto programma quadro, ha analizzato nello specifico le diatomee marine e altri aspetti quali il sequestro del carbonio, l’acquisizione di sostanze nutritive, l’andamento delle efflorescenze algali e il fenomeno del biofouling. Quanto alla Rete di eccellenza, si tratta di Marine Genomics (Implementation of high-throughput genomic approaches to investigate the functioning of marine ecosystems and the biology of marine organisms), della quale fa parte anche l’Ibim (Institute of Biomedicine and Molecular Immunology “A. Monroy”) del Cnr di Palermo, che riunisce scienziati, politici, industrie e altre parti interessate ed è dedicato allo sviluppo di approcci high-throughput (cioè ad elevato rendiment) per lo studio della biologia degli organismi marini.
Un esito di tutti questi lavori è lo studio recentemente pubblicato su PLoS One, dal lunghissimo titolo (Genome-wide transcriptome analyses of silicon metabolism in Phaeodactylum tricornutum reveal the multilevel regulation of silicic acid transporters), che in sostanza riporta le conclusioni dell’equipe coordinata da Pascal Jean Lopez del Cnrs francese che ha analizzato il meccanismo di controllo della formazione di strutture extracellulari simili al vetro che caratterizzano le diatomee. Fino ad oggi non si era arrivati a comprendere appieno in che modo questi organismi riescano ad assimilare, immagazzinare e trasportare il silicio.
Lo studio si è concentrato su una particolare specie di diatomee, il Phaeodactylum tricornutum, e sulla sua sintesi del silicio. Quest’alga si trova in numerose regioni del mondo, solitamente nelle aree costiere caratterizzate da grandi oscillazioni della salinità e inoltre è la prima diatomea pennata per cui sono disponibili dati completi sul genoma. Le cellule di queste alghe sono contenute in un’eccezionale parete cellulare di silicato; con la decomposizione delle diatomee si ha la conversione di questi silicati in sedimenti marini.
Il silicio, essenziale per la crescita di numerose specie di diatomee, non riveste un ruolo fondamentale nel caso del Phaeodactylum tricornutum, Lo scopo delle ricerche era scoprire se la diatomea, considerate le sue eccezionali proprietà, avrebbe ancora cercato di assimilare silicio.
I ricercatori hanno dimostrato che durante lo sviluppo delle diatomee dev’essere stato particolarmente favorito un determinato raggruppamento di geni, fattore che potrebbe aver consentito una più spiccata ottimizzazione delle reazioni ai vari stimoli ambientali. Sono stati identificati alcuni geni probabilmente coinvolti nell’immagazzinamento e nel metabolismo del silicio, come anche alcuni geni coinvolti nel trasporto del silicio. Si è inoltre rilevato che l’aumento della capacità di adeguarsi a livelli variabili di silicio negli ambienti marini può essere legato alle regolazioni globali da gene a genoma e alla distribuzione spaziale delle proteine.
La prosecuzione di questo tipo di studi consentirà di acquisire più conoscenze nel campo della chimica del vetro e di meglio comprendere le variazioni ambientali associate al silicio e ai cicli del carbonio.
(Michele Orioli)