Per l’opinione pubblica e per “l’opinione pubblicata” – che spesso coincidono, come già faceva notare Metternich – i dati dei bocciati e dei “sospesi” rappresentano uno choc. Abituati a snobbare le ricerche di organismi internazionali, che già dagli anni ’90 segnalavano la caduta di performances del sistema educativo, di colpo la casta dei giornalisti e dei politici scopre che i risultati scolastici dei nostri ragazzi sono drammatici: un 20% di bocciati, un 30% di sospesi. Si tratta di dati incompleti e, soprattutto, grezzi. Ci sono differenze notevoli tra licei, tecnici e istituti professionali e tra le aree del Paese. Anche i termometri usati per misurare la febbre del sistema educativo nazionale sono tarati in modo diverso dall’Ocse, dall’Invalsi e dalle nostre scuole; tuttavia il giudizio è convergente. L’emergenza educativa sta lì davanti a noi con la crudezza irreversibile dei numeri. La ricerca delle responsabilità porterebbe molto indietro nel tempo e vedrebbe alla sbarra società civile, amministrazione scolastica, ministri. Si deve solo constatare che tale ricerca è divenuta troppo spesso sterile occasione di verbigerazione rissosa. Ma qui la faccenda è troppo seria perché ci si possa attardare nel gioco ormai estenuato di battere il mea culpa sul petto del vicino. Più utile l’esercizio della ricerca di soluzioni.
Sulle cause della formazione dei debiti si è già scritto precedentemente così come sulla fragilità della scorciatoia facilista o severista. Qui si intende richiamare l’attenzione sul centro dell’intera questione: la preparazione degli insegnanti. L’insegnante deve essere in possesso di molteplici saperi e abilità, che si possono sintetizzare come segue: il sapere disciplinare, il sapere psico-pedagogico, l’abilità didattica e comunicazionale, la maturità umana di un adulto che sta di fronte a un ragazzo. I saperi devono essere forniti dalle università. L’abilità didattica e comunicazionale deve essere costruita e sperimentata sul campo, nelle scuole. La maturità umana può essere solo accertata sul campo, nelle scuole. L’attuale meccanismo di formazione e di reclutamento del corpo docente non prevede tali accertamenti. Esso ha generato un corpo insegnante fatto di proletariato intellettuale frustrato, arrabbiato, demotivato, impreparato, invecchiato. Fortunatamente esiste una minoranza attiva “eroica”. Se il sistema non sprofonda lo si deve a questa minoranza cirenea. Ma non potrà durare a lungo. L’uscita per limiti di età nel prossimo decennio di circa 300.000 insegnanti – l’età media dei docenti delle scuole superiori è di 53 anni! – che hanno maturato una lunga esperienza e la loro sostituzione con precari mai verificati da nessuno potrà forse ringiovanire il corpo docente – ma i precari hanno già un’età media di 41 anni! – ma certo non migliorarlo.
A quanti opinionisti e politici oggi denunciano con parole severe lo stato di degrado del sistema o rivendicano la primogenitura della denuncia si può solo chiedere di sostenere con altrettanto rigore un cambio urgente e radicale delle modalità di formazione, reclutamento, valutazione e carriera degli insegnanti. Piangere sull’amaro destino educativo del 40% dei nostri ragazzi e contemporaneamente predisporsi ad immettere, sotto la pressione corporativa dei sindacati, decine di migliaia di insegnanti precari; lamentare l’incapacità delle famiglie e dei loro figli di praticare il principio di responsabilità e contemporaneamente non assumersi le proprie per non inimicarsi i sindacati: tutto ciò è solo moneta spicciola da spendere nella polemica politica, ma è solo ipocrisia.