Cosa rimane a uno studente bocciato, si è chiesto Mauro Grimoldi?
Bocciare. Respingere. Non ammettere. Mmh, vediamo. Bocciare, bocciato: dà l’idea sonora e rotonda della boccia, che vola sulla pista di sabbia lungo un viale: ciock!, e la boccia dell’avversario rulla via sconfitta. Politicamente scorrettissimo, ma allegoricamente impeccabile. Rende l’idea di un gioco in cui due avversari si sfidano, alla luce del sole: caro il mio prof non ci sei riuscito, non mi son lasciato bocciare, vinco io. Dici che non dovrebbe essere questo, il ruolo della scuola? che non si tratta di una sfida a superare tutti gli ostacoli, come se fossimo a Giochi senza Frontiere? ma sì, non hai torto. Però la cosa ha un suono ruspante, goliardico, ribaldo. Da gente, per l’appunto, che le bocce le sa maneggiare. Vecchio? vecchio. Via.
Respinto. Qui siamo agli antipodi. Respinta è l’istanza rivolta al mezzemaniche dell’ufficietto burocratico. Respinto perché manca il bollo tondo, dice l’unticcio furiere. Il mondo svirilizzato dei caporali, nel quale c’è poco posto per gli uomini. Quello dove lo studente non ha nessuna dignità, perché non ce l’ha il sistema kafkiano o fantozziano della scuola fatta di registri macchiati e graduatorie sgualcite. Non sorprende che per molto tempo si sia usato proprio questo termine. Bello se un giorno si estinguesse anche il contesto.
Non ammesso alla classe successiva. Algido, analitico, da scuola di gestione aziendale, da norma unificata. Necessaria conseguenza viste le specifiche di prova: senza giudizio morale, senza anima. Però, dice un mio amico, l’anima non esiste. Vogliamo tenercelo in attesa di meglio?
Tanto gli studenti, che per dato anagrafico non sono ancora stati rammolliti dalla correttezza politica e che semmai si curano troppo di ostentare la propria ormonale sicumera, diranno sempre bocciato, o sturato, o segato; anche perché spesso capita a qualche solido e onesto Lucignolo, che del famoso dialogo educativo ha proprio la visione del campo di bocce. Te lo immagini, dire agli amici “sono stato respinto perché il consiglio ha ravvisato che io non abbia raggiunto gli obiettivi educativi e formativi minimi”? Ma vattìnne, guagliò.
No, non preoccuparti, sto solo scherzando. Effetti del caldo, di questo anticiclone che hanno chiamato Caronte – Caron dimònio con occhi di bragia, e quel che segue nella strofetta che di sicuro non raccontavano i primi della classe.
Non si può scherzare troppo con le vite altrui.
Lo ricordo bene quel padre che, nel momento in cui gli prospettavo una possibile bocciatura, dicendo che sarebbe stata comunque una possibilità per il ragazzo di capire e maturare, mi guardò dritto negli occhi dicendo “ma lei, ha mai perso un anno di vita?”
E quando te lo dicono così non puoi ciurlare nel manico.
No, gli risposi, o almeno non a scuola; ma ne ho visti tanti a cui è capitato. Non sempre, ma molto spesso è servito a qualcosa. Purtroppo, che serva proprio a suo figlio non lo posso giurare né io né nessuno.
Perché tutti noi cresciamo ad una velocità diversa: è assurdo pretendere che, solo per essere nato tra il giorno x e quello y di qualche anno del recente passato, tu debba aver raggiunto oggi quel livello medio per non essere respinto, tanto nella capacità di apprendimento e di relazione quanto nella maturità dell’autocontrollo. Nemmeno per accontentarti di quella mediocre e bigia sufficienza, che va bene al Sistema perché non espone ai ricorsi e semplifica i verbali della fureria.
Se un calciatore col fisico da armadio si comporta come un bambino viziato, non è giusto negargli l’opportunità di segnare in rovesciata la mattina in cui si è svegliato bene, ma non è giusto nemmeno dargli il posto in squadra a prescindere, quando il suo cervello non sa ancora gestire i suoi gesti: chiunque al Bar Sport ti direbbe che “a spingerlo troppo prima che maturi, lo rovini”. Ecco, questo esempio avrei fatto stamattina a quel genitore, perché la sua prole era di quella categoria. Certi allenatori da Bar Sport hanno una docimologia grezza ma concreta.
Ma a volte i genitori di cui cerchi lo sguardo hanno un figlio o una figlia i cui limiti non sono nella volontà, l’impegno magari ce lo mettono, è che non ci riescono. E lì sì che ti poni il dubbio di quale sia la scelta migliore. Guardi gli occhi dei colleghi nel consiglio, e potrebbe esserci il genitore di un figlio che ha dato lo stesso dilemma; o che, come te, ha visto qualcuno più debole crollare del tutto.
Purtroppo però i dubbi restano. L’insegnante non è un mestiere da bocciati, ma più spesso di quanto si vorrebbe è un lavoro da gente che è andata avanti a forza di 6: 6 un mediocre. 6 un caporale. E il tuo sguardo resta sospeso.
Quanto ho apprezzato, giorni fa, l’outing di Gianni Mereghetti nell’ammettere una sua lontana bocciatura, di fronte a Lorenzo che dichiara di essere stato salvato da chi, o forse nonostante chi, per due volte gli ha detto “no”: magari il no del caporale insulso, magari quello di un padre, di un allenatore, di un fratello maggiore. Non sapevo di Gianni, ma mi aiuta a capirne la serietà e l’umanità. E penso ad un ragazzone di cui ricordo bene la bocciatura, anche se non la vado a raccontare a chi oggi lo vede come il miglior prof che ti possa capitare.
Ma altri che furono bocciati in quei giorni sono finiti male, come si usava dire. Sai che non era stato per colpa degli insegnanti, o almeno non di quelli che li avevano bocciati: gli adolescenti si capiscono fra di loro e non si fanno tante menate. Adesso che sei di mezz’età e dall’altra parte però ci ripensi, era possibile che andasse diversamente se…?
È giusto bocciare. Molto spesso. Il problema è capire quale sia la volta giusta, anche il miglior giocatore non sa se la boccia andrà a punto. Ma se accetti le regole del gioco devi assumerti la responsabilità di lanciarla; se no, vai a giocare con i bambini: le bocce sono un gioco da grandi.