La scuola si prepara ad un nuovo inizio: sarà di fuoco, pensano e sperano alcuni cavalcando il dramma umano dei precari al solo scopo di bloccare le iniziative del ministro Gelmini, poco importa se siano positive o negative; sarà di costruzione, pensano altri vedendosi protagonisti della nuova definizione dei licei e del riordino dell’istruzione tecnica e professionale.
In questa situazione non nuova, tesa tra un punto di resistenza e un punto di forza, una cosa è certa, o quest’anno o mai più. Infatti se anche l’anno che sta per iniziare sì con la protesta dei precari, ma soprattutto con un ministro determinato come mai a varare la riforma, finisse con un fallimento, per la scuola sarebbe una Waterloo da cui rialzarsi diventerebbe una impresa titanica.
Per questo la sensazione che si ha in questa ripresa caotica è che quest’anno si giocherà una partita decisiva per la scuola, soprattutto quella superiore. Per Dirigenti scolastici, insegnanti, genitori e studenti la possibilità di giocarla questa partita è reale, bisogna volerlo.
A questo proposito bisogna dire a chiare lettere ciò che non viene taciuto, ma che non viene nemmeno evidenziato, forse sperando che pochi se ne accorgano. Quando si parla infatti di riforma dei licei e di riordino dell’istruzione tecnica e professionale si evidenzia che esistono nuovi indirizzi scolastici e che il ministero ha già composto il quadro orario dei diversi licei e dei nuovi istituti tecnici. Da questa enfatizzazione delle bozze del ministero che cosa si evince? Una semplice e diffusa constatazione, che le scuole dovranno applicare ciò che il ministero ha già elaborato con le sue commissioni.
Quindi a chi vive nella scuola non rimane che applicare ciò che ai tavoli del Ministero si è pensato. Se così fosse sarebbe la più degradante delle riforme. Che cosa invece ci si guarda bene dal dire? Che chi vive dentro la scuola può metterci del suo, può impegnarsi a disegnarla la nuova scuola. Bisogna quindi uscire dal silenzio e gridare ai quattro venti che le istituzioni scolastiche hanno la possibilità «di usufruire di una quota di flessibilità degli orari del 20% nel primo biennio e nell’ultimo anno e del 30% nel secondo biennio» e che «attraverso questa quota, ogni scuola può decidere di diversificare le proprie sezioni, di ridurre (sino a un terzo nell’arco dei 5 anni) o aumentare gli orari delle discipline, anche attivando ulteriori insegnamenti previsti in un apposito elenco». Oltre a questa possibilità c’è anche quella di «attivare ulteriori insegnamenti opzionali anche assumendo esperti qualificati attraverso il proprio bilancio». Si apre una possibilità di esercitare l’autonomia, questo è il bello di questo inizio d’anno, e bisogna farlo subito, uscendo dalla mentalità statalista burocratica che prende ciò che viene dal ministero come diktat, quindi da eseguire o da combattere. Invece le cose non stanno così, c’è un inizio di autonomia, bisogna però praticarlo e da subito.
La questione seria allora non è solo vedere se i nuovi licei siano buoni o non buoni, ma come poter lavorare sulla proposta di lavoro del ministero per poterla rielaborare in modo che ogni scuola si dia una fisionomia tipica, originale, il più rispondente al bisogno degli studenti. La strada di questo lavoro è quella dell’esperienza che si è fatta in questi anni; è dentro l’esperienza e nel paragone di questa con il bisogno incontrato che ogni scuola potrà dire se sia meglio due ore di una materia piuttosto che tre, e su quali contenuti e in che modo insegnarla. Siamo all’inizio dell’autonomia, è un’occasione, e si vedrà se vi sono dirigenti, insegnanti, genitori, studenti che la vogliano questa tanto invocata autonomia. Perché se dentro le scuole ci si limiterà a osannare la Gelmini o a demonizzarla, arrivando alla fine ad applicare volentieri o mal volentieri le sue architetture strane, non si potrà dire altro se non che questa scuola ce la siamo meritati. L’occasione c’è, urge coglierla, la strada dell’autonomia è questa, prendere o lasciare.
(Gianni Mereghetti)