La legge di riforma della scuola sta portando a compimento il piano straordinario di assunzioni (fase A, B e C). All’appello ormai manca soltanto l’ultimo concorso con le vecchie regole rivolto ai molti precari residui che già lavorano nella scuola. Dopo la cancellazione definitiva delle graduatorie ad esaurimento, l’avvio del secondo pilastro della riforma: la creazione di nuove forme di titolarità del ruolo, non più di sede in un’istituzione scolastica ma su ambiti territoriali. Questa è prevista inizialmente solo per i neoassunti con il piano straordinario. Tuttavia, si estenderà anche ai soprannumerari e a quanti faranno domanda di trasferimento, dal 2016/17. Il nuovo tipo di ruolo quindi progressivamente potrà interessare l’intera categoria. Se consideriamo che la riforma prevede per questi docenti incarichi rinnovabili per tre anni che potrebbero non essere rinnovati, si intravedono possibilità di un nuovo e più complesso precariato.
Rispetto alla situazione attuale in cui la precarietà/stabilità degli insegnanti in una sede è regolata da graduatorie e anzianità di servizio, il nuovo sistema potrebbe addirittura garantire più libertà di scelta e più stabilità. Infatti i nuovi contratti triennali necessariamente saranno stipulati sulla base di incroci di opportunità tra le candidature dei docenti alle scuole e le esigenze formative/progettuali delle medesime.
Se il docente lavora bene in quella scuola e questa è soddisfatta del suo lavoro, non c’è nessuna ragione perché l’incarico non venga rinnovato. La stabilità dipenderà dall’impegno personale del docente e non più dal punteggio in graduatoria. Anche l’apparente competitività tra i docenti che il nuovo sistema potrebbe ingenerare di fatto si configura come un falso problema. Un insegnante per avere l’incarico in una scuola dovrà mostrare di avere le competenze adeguate a quanto la scuola richiede; per poter mantenere l’incarico è necessario mostrare di lavorare bene. Quindi il sistema potrebbe spingere tutti a lavorare meglio eliminando la competizione e traendone un vantaggio immediato per i fruitori del servizio scolastico.
Ovviamente il sistema richiede ai docenti un impegno esplicito nel fare il loro lavoro, e che questo impegno sia messo alla prova e valutato. Il bonus per la valorizzazione del merito, previsto dalla buona scuola, non sembra rispondere adeguatamente, in assenza di procedure chiare, di criteri, e di omogeneità a livello nazionale. Altre sarebbero le soluzioni sostenibili: un avanzamento retributivo in parte per anzianità e in parte per merito e, comunque la previsione di una carriera per i docenti articolata in più livelli accessibili per concorso e valutazione dei crediti professionali.
In tale contesto si inserisce il potere del dirigente scolastico così come configurato dalla legge di riforma. L’idea di autonomia certamente giustifica l’attribuzione a questa figura di maggiori responsabilità nella guida della scuola, ma bisogna stare molto attenti nell’evitare di caricarla di eccessive aspettative dispensando gli altri attori responsabili della comunità scolastica. In particolare, la questione degli incarichi ai docenti è talmente complessa e delicata che sarebbe auspicabile una procedura più trasparente e condivisa coinvolgendo un gruppo responsabile che affianchi il dirigente.
Tuttavia è altrettanto vero che le paure dell’eccessivo potere assegnato ai dirigenti scolastici siano del tutto infondate e nascondono anche taluni consolidati pregiudizi. Infatti, il modello proposto esplicita la responsabilità del dirigente e la rende più trasparente. Il dirigente a norma di legge risponde del proprio operato essendo giuridicamente responsabile di tutta l’istituzione scolastica. Perciò i dirigenti dovranno essere molto prudenti nell’attribuzione degli incarichi, ed eventualmente nella loro risoluzione alla fine del triennio. Maggiori saranno gli strumenti democratici, trasparenti e di garanzia utilizzati e maggiori saranno le opportunità di miglioramento del sistema scolastico.