“Pensare che la scuola sia l’unico fattore di crescita è un fraintendimento diffuso, ben espresso dalla terribile frase di qualche padre, spesso riportatami dai figli: “Basta che tu vada bene a scuola e poi… puoi fare quello che vuoi!”. Ma se la scuola non è tutto, certamente è molto; se è una buona scuola asseconda la crescita, la fornisce di strumenti di riflessione e quindi, in misura consistente, la determina”. Sono queste le parole con cui Mauro Monti, Dirigente scolastico dell’ Istituto Istituto Statale d’Istruzione Superiore Mattei di Fiorenzuola D’Arda (PC), risponde alla prima domanda sull’importanza di un buon orientamento scolastico, nell’ambito della campagna Openday Insieme portata avanti da CdO Opere Educative. Parole un po’ controcorrente, ma che considerando la grande esperienza professionale e umana del dirigente, invitano ad una attenta riflessione.
Professore, come è possibile identificare una “buona scuola”?
Ciò che rende importante la scuola è legato a fattori difficilmente programmabili: la personalità di alcuni docenti, la trama delle relazioni amicali tra coetanei, la libertà dello studente che stabilisce un nesso tra sé e lo studio, tra esperienze significative fatte fuori dalla scuola e contenuti culturali dei programmi insegnati. Come dire che è importante scegliere la scuola giusta, ma che ciò che rende giusta una scuola il più delle volte accade e non si sceglie.
E’ una considerazione interessante, ma così i genitori non rischiano un po’ una scelta “al buio”?
E’ questo il motivo per cui dico sempre ai genitori che la scelta assoluta (cioè al riparo da ogni rischio) non esiste e che la scelta della scuola superiore rimane un passaggio delicato, da non drammatizzare, per cui investire sul dialogo in famiglia e sulla ripresa di alcune domande essenziali: chi è nostro figlio? Cosa veramente desideriamo per lui (o lei)? Che cosa lui (o lei) desidera?
La scuola italiana in che modo aiuta i ragazzi a orientarsi e le famiglie a farsi queste domande?
La scuola purtroppo spesso si auto-promuove e non orienta. In questo senso riproduce, dal proprio versante, errori tipici dei ragazzi che scelgono male. Il primo errore è l’enfasi portata sul dettaglio inessenziale.
Cioè?
Si promuove un particolare della propria scuola e i ragazzi scelgono di andare lì perché attratti da quel dettaglio, importante fin che si vuole, ma non decisivo. Così si sceglie di andare dove c’è l’i-pad o dove si fa la seconda/terza lingua facoltativa, e si trascura di fare attenzione al curricolo nel suo complesso, alle iniziative di sostegno alle difficoltà, all’organicità di rapporto col mondo del lavoro.
Talvolta, però, si cerca proprio la scuola “generica” perché si ritiene che i ragazzi non siano pronti per una scelta mirata…
Infatti il secondo errore è diluire la propria identità di scuola nel tentativo di intercettare il maggior numero di clienti: siamo scientifici, ma anche un po’ umanistici, tecnici ma con qualche accento liceale, pedagogici, ma con una spruzzata linguistico-medico-sportiva. Questa impostazione implicitamente incoraggia il criterio (pericolosissimo) della scelta per esclusione: vado lì perché c’è poca matematica, poco latino, poco di tutto e non mi devo cimentare con nessun autentico scoglio o limite della mia preparazione precedente.
E’ utile, a suo parere, andare a vedere di persona le scuole, parlare con docenti e dirigenti, magari in occasione degli Open Day, oppure si rischia di rimanere abbagliati da “vetrine” che mascherano i grandi problemi che talvolta esistono nelle scuole?
Certamente occorre andare a vedere di persona. Il mio consiglio è però quello di non fare gli spettatori, ma di andare armati di due o tre domande chiare in testa, possibilmente formulate pensando a quelle che potrebbero essere le difficoltà o le esigenze tipiche del proprio figlio una volta inserito in quella scuola; allora si può ascoltare tutto, ma alla luce di quelle domande, per capire, usando il proprio fiuto educativo, qual è il clima che si respira in quella scuola, quali gerarchie di valori dominano le scelte educative e le innovazioni didattiche.
Suggerirebbe altro?
Mi pare che un altro passaggio importante (e troppo spesso trascurato) sia il rapporto con la scuola media, cioè con gli insegnanti che per tre anni hanno conosciuto meglio i ragazzi, le loro attitudini e i loro limiti. Ricordo infine che oggi ci sono degli strumenti che integrano le conoscenze de visu e il sentito dire.
Per esempio?
Penso ad alcuni dati presenti su “Scuola in chiaro”, soprattutto i risultati agli scrutini e all’esame di Stato e, per le scelte liceali, la percentuale di accesso all’università. Penso anche al recente servizio reso dalla Fondazione Agnelli con Eduscopio: è sbagliato prenderlo come oro colato che sancisce una classifica tra scuole (i fattori che incidono sulla riuscita al primo anno di università sono molti) ma integra utilmente le informazioni, portandole sul terreno importante del “cosa succede dopo” ai ragazzi che hanno frequentato quella scuola.
Nel nostro Paese permangono alti livelli di dispersione, le professioni tecniche e artigianali soffrono per la mancanza di personale adeguatamente formato, eppure i licei (in particolare lo Scientifico) sono ancora “gettonatissimi”. Cosa ne pensa?
Ho la fortuna di dirigere una scuola multi-indirizzo con un po’ di tutto: licei, tecnici e professionale. Proprio in queste settimane ricevo genitori di prima e di seconda che mi chiedono di cambiare, spesso passando da un liceo a un tecnico o da un tecnico al professionale. Non c’è nulla di drammatico e ci sta che si possa correggere in corsa una scelta. A volte cerco di scoraggiare il passaggio, quando vedo che corrisponde a una logica del voler aggirare l’ostacolo, evitando la minima fatica.
Altre volte registro una sfasatura iniziale che risale al momento della scelta. “Voleva fare l’ITI, ma suo padre ha insistito per il liceo” è una frase tipica di alcune madri. Lo stereotipo del liceo come scuola di prestigio indubbiamente regge ancora, sia per chi vorrebbe che i figli rifacessero il proprio percorso di studi, sia per chi vorrebbe che i figli facessero quel percorso liceale che al genitore è stato negato.
In chiave orientativa, allora, a cosa occorre guardare per capire quale può essere il percorso scolastico più adatto per i nostri figli?
Non conosco una regola universale con cui capire sempre il percorso più adatto. Ma certo serve uscire dagli stereotipi che mettono in ordine gerarchico gli indirizzi, per entrare nel merito di ciò che caratterizza quella scuola tecnica o professionale, piuttosto che quel liceo. E’ difficile che un ragazzo con basse motivazioni allo studio le trovi dentro un percorso più astratto, mentre è possibile che un approccio basato sul fare, sul lavoro come “metodo di conoscenza” riapra interessi anche verso lo studio più astratto. Ma in questo non basta che la scuola sia ad indirizzo tecnico o professionale. Ci sono ITI che sono più “formali” dei licei classici e altri che invece perseguono un rapporto col fare teso a riscoprire il suo valore per il pensare.
Non sempre l’opinione di genitori e figli, su quale sia la migliore scelta del percorso scolastico superiore, coincide. Chi è meglio che abbia l’ultima parola, nel caso di una divergenza apparentemente “insanabile”?
Sconsiglio vivamente ogni intervento meramente oppositivo rispetto ad una scelta ben delineata del figlio. Contrariamente a quello che spesso ci sentiamo dire, anche a tredici/quattordici anni si possono prendere delle decisioni e portarne le conseguenze, positive e negative che siano. Ai genitori spetta il compito, tipico dell’adulto, di aiutare la rappresentazione di tutti i fattori in gioco in una scelta, aiutando a rendere esplicite le motivazioni per una scelta.