I media ci hanno informato che gli studenti dell’Itis “Francesco Carrara” di Lucca, che hanno oltraggiato e minacciato un insegnante, sono stati puniti. Sicuramente sono stati tenuti presenti da parte dell’istituto il “Regolamento delle studentesse e degli studenti”, il Regolamento di istituto, il Patto di corresponsabilità; si è considerata e differenziata la diversa posizione e le differenti responsabilità degli studenti e il consiglio di istituto ha stabilito che tre studenti non saranno ammessi alla classe successiva e gli altri tre avranno una sospensione superiore ai quindici giorni, ma la loro situazione didattica sarà valutata negli scrutini finali.
I media hanno ampiamente affrontato e discusso sul bullismo, tutti si sono indignati e molti hanno individuato la causa di questo fenomeno nella rottura del patto educativo fra scuola e famiglia, che ha portato ad un’emergenza difficile da gestire.
In questa e in altre situazioni simili colpisce la non reazione dei docenti: sorpresi, spaventati, paralizzati da questi attacchi improvvisi. Non si difendono né accusano, spesso omettono di denunciare al dirigente ciò che è avvenuto per non essere considerati inadeguati a questa professione, anzi giustificano la loro inazione per non creare successivi guai agli studenti e perché la scuola deve educare e non punire. Sono infatti i video presenti in internet che denunciano gli episodi avvenuti.
Non credo però che questo atteggiamento porti gli studenti a prendere coscienza della gravità dell’atto compiuto. Ci sono dei limiti invalicabili che non possono essere superati e bisogna mettere chi ha sbagliato di fronte alle proprie responsabilità e pagarne le conseguenze. L’idea di un eccessivo buonismo non fa bene alla scuola, né favorisce un percorso di crescita responsabile degli allievi. I limiti devono essere posti anche dalle famiglie, c’è una loro precisa “culpa in educando”, cioè una responsabilità nell’educazione dei propri figli. Se il figlio minorenne sbaglia è il genitore che ne risponde anche penalmente.
L’intera classe, nel caso di Lucca, ha partecipato all’atto di bullismo anche se con modalità diverse. Chi assistendo al fatto ha riso, divertito dallo spettacolo offerto e non ha reagito, non ha compreso che si stava offendendo, umiliando la dignità di una persona. Egli è ugualmente responsabile dell’atto.
È chiaro che non c’è un terreno condiviso di valori e di modelli di riferimento entro i quali docenti e discenti agiscono. È il principio di autorità e di rispetto dei ruoli che non viene più accettato dalle nuove generazioni. Evidentemente nella società questi valori non sono più sentiti come “forti”. Basta guardarsi intorno. Nelle serie tv dedicate ai teenager trovi molto spesso esaltato il senso dell’Io, dei propri diritti e poco affermato il rispetto degli altri. Le trasmissioni televisive in generale tendono a trasmettere un modello culturale che dà maggior importanza all’apparenza piuttosto che all’essere. Nei talk show il confronto tra partecipanti è aggressivo e prevaricatore, non fondato su uno sviluppo logico del ragionamento, ma sulla denigrazione e l’insulto dell’altro.
Nei giornali vediamo proposto come uomo di successo il calciatore, l’uomo o la donna di spettacolo, non certo chi, dopo anni di studio, riesce a diventare un professionista serio al servizio degli altri. L’impegno nello studio dunque non paga? Chi lavora nella scuola negli anni passati è stato spesso giudicato in modo superficiale: “i docenti lavorano poco, hanno troppe ferie, non sono preparati, non sanno fare il proprio lavoro, sono pagati anche troppo per quel che fanno” eccetera. Se vale l’equazione “guadagno tanti soldi… allora il mio lavoro è importante, quindi ho un ruolo sociale di prestigio riconosciuto,” la scuola è perdente.
Ma anche la politica ha grosse responsabilità in questa delegittimazione. Anni di riforme gestite principalmente nell’ottica di ottimizzazione della macchina amministrativa dello Stato, di tagli di posti di lavoro, di risparmi da effettuare hanno avuto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Ma si deve ripartire, riaffrontare il problema con approcci diversi. Ripartiamo da un nuovo patto di corresponsabilità scuola-famiglia, da una riappropriazione da parte dei docenti del loro ruolo. Gli insegnanti sono i tecnici, i professionisti dell’educazione con i quali potersi confrontare sulle problematiche didattiche e sui disagi adolescenziali. Formiamo i futuri docenti già nei corsi universitari, rendendo obbligatori corsi di didattica applicata e tirocini attivi; aggiorniamoci nei nostri istituti con corsi che preparino nuovi e vecchi docenti ad affrontare le problematiche delle classi e la loro gestione, perché una cosa è il conoscere la nostra disciplina, un’altra saperla insegnare, un’altra cosa è saper gestire una classe. Rinnoviamo la didattica che deve avvicinarsi alla nuova modalità di apprendimento dei giovani, che non è più solo lineare e frontale, ma reticolare, laboratoriale e digitale. Rinnoviamo la scuola anche sul piano tecnologico e usiamo i Pon (fondi europei) per finanziare didattiche alternative, che vedano gli studenti elementi protagonisti e non passivi della conoscenza.
Certo è che se si continua a puntare il dito contro tutto ciò che non va, ma non si risolve o migliora ciò che va, non usciremo mai da questo loop di lamentele continue. E la scuola perderà sempre.