L’ultima delle proposte di cui si sta discutendo all’Università Statale di Milano è l’introduzione del numero chiuso nei corsi di laurea della facoltà di Studi umanistici, in particolare Lettere, Filosofia e Storia. Questa è stata portata per la prima volta durante la seduta del Comitato di direzione della facoltà di Studi umanistici del 28 aprile 2017, alla quale inizialmente non erano stati convocati i rappresentanti degli studenti intervenuti in via eccezionale solo per le numerose richieste provenienti dagli stessi.
Con tale proposta il preside della facoltà di Studi umanistici, Corrado Sinigaglia, mira a contrastare il considerevole aumento del numero degli iscritti e la carenza della componente docente dovuta ad anni di mancate assunzioni nell’area delle materie umanistiche.
Questo provvedimento rischia di aggravare la condizione degli studenti già fortemente penalizzata dalla riduzione del numero degli appelli da 10 a 6 e dalla riorganizzazione del calendario accademico votate nello scorso anno accademico nonostante la contrarietà della componente studentesca. La logica è sempre la stessa, diminuire il numero di studenti per razionalizzare i costi. Un problema di numeri che nasconde però dietro di sé una totale disattenzione al fattore umano.
Credo che lo sforzo di chi vive l’università, a partire dai professori, debba essere rivolto alla crescita culturale e umana degli studenti, e non a un’organizzazione fondata su un modello di vuota efficienza.
Il problema strutturale alla base di questa vicenda è la linea politica che la Statale sta perseguendo, diretta ad un continuo taglio dei fondi destinati a Studi umanistici e alla riduzione delle immatricolazioni per evitare di dover assumere nuovi docenti.
Sono ben altre però le misure che l’Università dovrebbe adottare per un miglioramento didattico e di conseguenza umano dell’intera facoltà a vantaggio degli studenti.
Una modalità per salvaguardare gli studenti e la facoltà potrebbe essere il potenziamento del servizio di orientamento in entrata (ad esempio tramite la presentazione dei corsi di laurea nelle scuole superiori di Milano e provincia), così da mostrare con chiarezza l’offerta didattica e consentire agli studenti di poter compiere una scelta ponderata e consapevole. Si dovrebbe poi privilegiare lo strumento dell’autovalutazione e infine incentivare la predisposizione di corsi di recupero per accompagnare gli studenti nel completamento delle lacune dimostrate.
L’Università deve uscire da questa logica aziendalistica che ci ha portati al penultimo posto in Europa per percentuale di laureati, come dimostrano gli ultimi dati Ocse. Dati sconcertanti che, di riflesso, mostrano l’esigenza di tornare a scommettere sulla persona, sul suo potenziale culturale e umano.
È pertanto fondamentale che nasca un dialogo su questi temi tra tutte le parti interessate, compresi gli studenti, in particolar modo quelli che tra di loro sono stati legittimamente eletti nell’ambito degli organi centrali.
Le tempistiche devono favorire il dialogo e devono garantire una votazione calibrata e consapevole da parte degli organi di governo dell’Ateneo. Questa non sarà certo garantita dai 10 giorni che intercorrono dall’ultima seduta del comitato alla votazione definitiva da parte del Senato accademico del 16 maggio.
È una logica autoritaria quella che mette alle strette e soffoca il confronto, perché impone un’unica linea e impedisce di valutare nel merito la bontà di proposte nuove e diverse, il cui intento è solo quello di restituire centralità alla vita universitaria.