Gli interventi relativi allo sviluppo economico, semplificazione, competitività, stabilizzazione della Finanza pubblica e perequazione tributaria, che completano la manovra finanziaria anticipata dal Governo con la presentazione del DPEF 2009-20013, si sono trasformati da bozza – di cui abbiamo parlato il 25 giugno scorso – in Decreto legge 25 giugno 2008, n.112.
L’art. 64 – già art. 70 – prescrive misure finalizzate all’abbattimento delle spese nella Pubblica istruzione. Di quali siano e quante si è, appunto, già scritto.
La cura è da cavallo, e l’autunno caldo della scuola sembra stare alle porte. Benché Tremonti non si limiti a quantificare i tagli, ma indichi anche le strade per realizzarli – con ciò riprendendo la lettera e lo spirito della legge 53 del 28 marzo 2003 (legge Moratti) – tocca inevitabilmente al ministero dell’Istruzione dare un’anima e un senso a un’operazione che rischia di apparire guidata esclusivamente da cogenti e indifferibili ragioni di cassa. Nella dialettica finora rimasta sottotraccia tra ministero dell’Economia e delle Finanze e quello dell’Istruzione – che si è accesa ed è rimasta costante dagli anni ’90 – si inserisce ora la Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera, presieduta dall’on. Valentina Aprea, con il suo parere sul disegno di legge 1386, nel quale dovrà essere convertito il Decreto 112.
Il parere è favorevole, ma subordinatamente a molte e particolareggiate condizioni, di cui le più “pesanti” sono:
- la riduzione dell’organico ATA non deve avvenire a carico del personale amministrativo necessario per lo sviluppo dell’autonomia. Dunque, si propone di diminuire ulteriormente “i bidelli”;
- il raddoppio a 90 gg. dei tempi necessari per la messa a punto del Piano programmatico per l’attuazione dei tagli;
- l’aggancio al Decreto legislativo n. 226 del 2005, che prevedeva l’assolvimento dell’obbligo anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale, e al comma 624 della legge 296 del 2006, che lo permette anche nei per corsi sperimentali di istruzione e formazione professionale;
- il riferimento alle 8 competenze-chiave europee per accorpare classi di concorso, ridurre in modo consistente le discipline e perciò gli insegnanti;
- la riforma degli istituti tecnici e professionali per ridurre ore, indirizzi, duplicazioni di percorsi, e diluire le lezioni teoriche a favore di quelle laboratoriali;
- lo Stato assegna il personale relativo all’80% del curriculum nazionale, il 20% è curriculum dell’autonomia scolastica;
- piena autonomia organizzativa per la formazione delle classi, rimodulando l’uso delle risorse umane;
- esclusione dei dirigenti scolastici dall’imputazione di responsabilità, nel caso che i tagli non si realizzino.
Con queste “condizioni” il Parlamento offre una sponda al Ministero dell’Istruzione, affinché non si riduca a una dépendance del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il tentativo è quello di affermare il principio che facendo riforme si può spendere meglio e risparmiare. Sfida non facile: perché i tempi dei tagli sono brevissimi, i tempi delle riforme, ancorché avviate a passo di carica dopo indugi, interruzioni, rinvii, sono più lunghi.
In mezzo sta la resistenza del blocco storico conservatore che finora è riuscito a far lievitare la quantità e ad abbassare drammaticamente la qualità del sistema educativo nazionale.