Di fronte al dialogo iniziale tra Violaine e Pierre de Craon ne L’Annuncio a Maria di Paul Claudel, uno è tentato di chiedersi se l’atteggiamento di Violaine di fronte a Pierre (che prima l’aveva assalita con un coltello) è ingannevolmente ingenuo o è veramente lo sguardo di una santa. Più oltre, nel primo atto, descrive come, all’età di diciotto anni, conosce il suo posto: è “felice…libero.” Qui ci si comincia a convincere che siamo in presenza di una che riconosce qualcosa nella realtà capace di redimere ogni situazione, inclusa la lebbra che contrae quasi volontariamente, quando bacia Pierre come segno di perdono e della sua magnanimità.
Craon, al pari di Mara, la sorella più giovane di Violaine, cerca di possedere la realtà, mentre Violaine è cosciente del fatto che essa è posseduta dal Creatore della realtà, così è libera perfino dal male e dalla complicità contro di lei di questi due personaggi.
Lo studioso e traduttore Robert Fitzgerald, in una discussione sull’opera di Flannery O’Connor, disse una volta qualcosa riguardo alla commedia come suprema forma letteraria cristiana, perché nel mondo dopo la Resurrezione non vi possono essere esiti tragici. L’Annuncio a Maria nella nostra epoca potrebbe apparire come l’ingenuo, anacronistico tentativo di un’apologetica cattolica nascosta nella finzione drammatica, se non fosse che simili istanze sono presenti nella vita reale di persone che hanno una tale fiducia nella capacità del Creatore di generare il bene da renderli mansueti anche di fronte al male sofferto.
Quattro giorni fa, una mia allieva di quindici anni ha scritto un convincente tema nel quale prendeva posizione contro l’aborto descrivendo la vita di una sedicenne, rimasta incinta dopo uno stupro, che ha portato a termine la sua gravidanza. Ho pensato che avesse creato una situazione ipotetica al fine di convincere il lettore delle sue argomentazioni, fino a quando ho letto il quarto paragrafo, di una sola riga, nel quale ha rivelato che la donna di cui stava scrivendo era sua nonna.
La mia allieva ha continuato la sua dissertazione mettendo il lettore di fronte al fatto che chi stava scrivendo quel tema non avrebbe potuto essere lì a scriverlo, se la gravidanza fosse stata interrotta. Per questo, assistendo alla rappresentazione del dramma di Claudel, parte del New York Encounter 2011, ho trovato Violaine del tutto credibile. Ne L’Annuncio a Maria, è chiaro che Violaine non è una pia stupida, ma una persona che vuol affermare la sua definitiva giustificazione da parte di Dio, fino al punto di portare sofferenza a se stessa.
Raddoppiando la posta, il suo magnanimo bacio a Pierre viene riferito come un tradimento dalla sorella Mara a Jacques, il fidanzato di Violaine, dato che Mara ha un suo progetto su di lui, eppure alla fine è Violaine, sull’orlo della propria morte, che riporta alla vita il bimbo morto di Mara. Se si vuole, è l’affermazione di Claudel che chi obbedisce a Dio anche nella più terribile sofferenza partecipa del Suo potere di dare la vita.
Non è questo un messaggio che il mondo moderno, non pratico di Dio come presenza reale, può facilmente tollerare, perché si ritrae di fronte alla sofferenza, e si fermerebbe quindi alla cura, come i nove lebbrosi del Vangelo, riluttanti a ritornare, come ha fatto invece il decimo lebbroso, a quell’Uomo la Cui conoscenza “supera tutto ciò che è comprensibile” ed è preferibile a qualsiasi cura, poiché è l’Autore della vita stessa.