Ho finito qualche tempo fa le lezioni di un laboratorio sulla matematica in un corso di formazione per conseguire la specializzazione per le attività di sostegno, presso l’Università di Torino. Il laboratorio riguardava la scuola primaria, in tutto 20 ore, con insegnanti provenienti da varie parti d’Italia, con storie molto diverse, e con livelli molto diversi di conoscenza della matematica.
E’ noto che l’insegnamento di questa disciplina registra grandi insuccessi in Italia, come nella maggior parte del mondo; meno nota è la fatica degli insegnanti che frequentano i corsi di specializzazione. Oltre all’insegnamento e all’impegno familiare, la frequenza alle lezioni, lo studio per gli esami, l’elaborazione di prove, devono affrontare spesso il disagio di vivere fuori casa, o di viaggiare, perché i corsi vengono fatti solo in alcune sedi universitarie. La nota scrittrice e formatrice Anna Cerasoli conosce bene le questioni poste dall’insegnamento-apprendimento della matematica. Dopo la laurea e un breve periodo di ricerca al Cnr, ha scelto per passione di insegnare nella scuola secondaria. Da anni si dedica alla divulgazione della matematica per ragazzi, sfruttando vie diverse da quelle che percorre la scuola. Utilizza infatti varie forme di narrazione: il dialogo, il diario, la fiaba, il racconto storico, ponendo in evidenza i significati e il rapporto con la realtà. In un seminario nazionale del Centro ricerche didattiche Ugo Morin, svoltosi a Paderno del Grappa (agosto 2017), ha sottolineato che non esiste modo di imparare la matematica al di fuori della scuola, anche se essa è presente in ogni momento e in ogni luogo della nostra vita quotidiana e che a scuola il suo insegnamento si riduce troppo spesso agli aspetti meno coinvolgenti: la teoria e il calcolo, escludendo i problemi.
Ancora una volta, ho preso atto che insegnanti e genitori si chiedono cosa fare per contrastare l’insuccesso scolastico in matematica e riportare dentro l’alveo di un buon apprendimento scolastico allievi con grosse lacune, o con disabilità particolari, o con un atteggiamento di chiusura. La speranza rivelata da molti è di avere ricette già pronte e di facile uso. Alla fine del mio laboratorio, alcune maestre mi hanno chiesto: “prof, lei ci ha detto cose molto interessanti sulla natura della matematica, ma noi cosa dobbiamo fare quando ci troveremo di fronte ad un ragazzo con deficit o difficoltà?”. Ho risposto che non potevo fornire ricette perché non ci sono e che avrei provato a raccontare come io mi sono posta nei casi che mi sono capitati.
Nel recupero del sapere matematico, i casi “facili” riguardano mancanze che si possono compensare con strumenti tecnici usati come protesi. Ma davanti ad un bambino di scarse capacità intellettuali, oppure che non sa affrontare la fatica, che non sa organizzarsi per compiere un’indagine, per mettere a fuoco il compito, insomma davanti ai casi in cui l’insuccesso è legato ad un deficit della personalità, un’assenza della mente, dell’interesse, della volontà di comprendere e apprendere, cosa fare? Come porsi quando l’io di fronte alla matematica si disattiva?
Nella mia esperienza, la risorsa principale è sempre stata nel rapporto con l’allievo. Iniziando a lavorare insieme, in uno stretto dialogo, ho potuto osservare il soggetto, non solo indagando su cosa sa e cosa non sa, ma soprattutto su come si pone (ad esempio come progetta il suo lavoro, come ricerca gli strumenti utili, come usa il testo e gli appunti) e ho potuto reagire con la mia sensibilità pedagogica e culturale facendo domande, tante domande, anche quelle che mi sembravano banali, con l’idea di inserirmi nel suo cammino personale senza sostituirmi a lui, ma solo provocandolo a prendere iniziative. Cosa voglio ottenere? Facile da dire, che impari la matematica! Ma eccomi già di fronte ad una scatola chiusa dentro la quale occorre guardare. Mi aiuta ancora Anna Cerasoli: “nella proposta della scuola, manca la vera anima di questa materia, quella per cui è nata: la risoluzione di problemi”. Il problema non è uno spauracchio, ma uno strumento di educazione matematica; ponendo una domanda in una situazione che si svolge in un contesto, mostra il significato di formule e calcoli, mostra cioè una semantica per gli aspetti sintattici della matematica. Per risolverlo bisogna conoscere il contesto, comprendere la situazione, partire dalla domanda e inventare un percorso che faccia scaturire la risposta dai dati. Quale aiuto dare? sollecitare ed orientare l’attività del bambino, in generale l’attività di chi deve imparare. Se non si mette in moto la persona, non c’è apprendimento ma solo addestramento. Al bambino bisogna lasciare tempo perché sia protagonista del proprio apprendimento, insieme all’insegnante e alla classe. Apprendere non è ripetere, ma costruire il proprio sapere e non sussiste senza la scoperta di significati. Ecco qui un vero tarlo da mettere in evidenza: si prescinde dal fatto che nella matematica ci sono significati, questi non sono presenti solo nelle materie umanistiche. Per capire e ricordare c’è bisogno di creare una semantica.
Il bambino deve essere messo in moto, l’insegnante lo provoca con opportune domande, che nascono dalla sua consapevolezza personale, raggiunta attraverso la propria formazione professionale e attraverso la riflessione sul proprio apprendimento. Alcuni brevi esempi.
Una bambina in quarta elementare si trova davanti ad un classico problema sul mercato. Conosce il costo di un kg di arance, sa che la mamma acquista 3 kg e che acquista anche alcuni kg di patate. Conosce la cifra che la mamma paga ed è invitata a scoprire quale sia stata la spesa per le patate. La domanda che ci poniamo è quanto spende la mamma per le arance, cosa conosciamo? Solo il costo di un kg. Ma gli altri due kg quanto costano? Non lo so! E allora il cartellino che nel tuo disegno il venditore ha posto sulle arance cosa indica? Con fatica risaliamo al significato del numero scritto sul cartellino: i kg di arance hanno tutti lo stesso prezzo, quello indicato dal cartellino. Una scoperta su cui lavorare: la rappresentazione della realtà che circonda la bambina contiene delle lacune. Ma poi sbaglia i calcoli, scrive male i numeri, “settemila cinquecento” diventa “7000500“, ecco i sintomi di una grave lacuna: la scrittura decimale posizionale dei numeri, o meglio il significato delle due rappresentazioni che usiamo per i numeri, quella linguistica (additiva: 7mila e cinquecento, è una somma: 7000+500) e quella decimale posizionale, in cui cambia il significato delle cifre: 7.500 (ancora additiva, ma è la posizione che indica il valore dei numeri 7 e 5, che diventano “cifre”).
Lavoriamo sui raggruppamenti (per 10, per 100, ecc.) usando una scatola di stuzzicadenti e alcuni elastici. Per il cambio lei deve sciogliere dei raggruppamenti e si lamenta perché si punge le dita. La invito ad immaginare, se vuole evitare di fare l’azione diretta. Imparare, azioni interiorizzate, che diventano disponibili per l’indagine richiamandole alla mente.
Un ragazzo di prima media, ripetente, ha scritto sul quaderno “2x+5x”; chiedo cosa sia la x che ha scritto. Una lettera dell’alfabeto! Bene, allora tu sommi le lettere? Certamente no, si sommano solo i numeri! Ma in classe è disposto a scrivere tutto, la garanzia è nell’insegnante, non nella sua testa.
Un problema parla di una somma di denaro da dividere in tre parti e dà le relazioni tra le parti. Inutile proporre di ricorrere alla x, perché per lui non è ancora chiaro il significato. Come puoi rappresentare le parti? Non lo so. Puoi scegliere dei segni tuoi? Sì, la prima cifra può essere un triangolo, la seconda un rettangolo, la terza un cerchio. Per me va bene, allora come possiamo esprimere ciò che ci dice il testo? Da qui andiamo avanti inventando un sistema di calcolo per le nostre figurine. Alla fine lui esprime l’orgoglio di essere arrivato alla risposta scrivendo “giusto!” con grossi caratteri.
Questi due brevi esempi mi servono per concludere: famiglie e insegnanti, smettiamola di combattere e iniziamo una santa alleanza, dando a figli e allievi fiducia e tempo per porsi domande, per fare esperienze, per lavorare con tentativi e imparare a verificare i risultati. Troppo spesso usiamo la parola “pensare” dimenticando che si tratta dell’atto di una persona viva, di un soggetto. Pensa bene una persona libera e responsabile, nell’educazione matematica casa e scuola hanno ciascuno la propria parte. Raccomando solo di non esitare: più è grave la situazione, più bisogna favorire la libertà del bambino, abituarlo a dare ragione dei suoi tentativi.