Una vecchia canzone degli anni Cinquanta diceva che il suo protagonista non avrebbe mai smesso le sue “rock’n’roll shoes”, le sue scarpe da rock’n’roll, e tutti quelli che sono venuti dopo l’hanno preso sul serio. La pensione non sembra un’ipotesi accettabile per nessuno di coloro che questa musica l’hanno fatta e vissuta in prima persona, anche se hai 40 anni di carriera sulle spalle, un fisico provato da anni di dedizione alle droghe e all’alcool e finanche sei appena uscito (bene) da un tumore alla prostata. E’ il caso di Stephen Stills, leggendaria voce della California alternativa di fine anni Sessanta e Settanta, fondatore dei Buffalo Springfield con Neil Young e con lui leader di Crosby Stills Nash & Young, il gruppo che negli anni Settanta fu definito, per successo e bontà artistica, l’erede dei Beatles.
Ha suonato a Milano in un Teatro Smeraldo con parecchie file vuote e purtroppo ha confermato che forse a una certa età il pensionamento non sarebbe un’ipotesi da scartare: la voce fortemente deteriorata e anche evidenti problemi a suonare la chitarra acustica, lui che da giovane era uno dei talenti più brillanti al mondo di questo strumento. Nonostante questo ha dato vita a un primo set acustico da solo in cui ha indossato le vesti del folksinger da coffee house, con una bella rilettura della dylaniana Girl from North Country e un’intensa The Blind Fiddler, pezzo della tradizione popolare americana che risale al XIX secolo. Poi classici della sua lunga storia, come Johnny’s Garden , l’inno anti guerra in Vietnam Find the Cost of Freedom e finanche la difficilissima da eseguire da solo Suite Judy Blue Eyes, cavallo di battaglia di CSNY.
Il secondo set, elettrico con band, è stato all’insegna di un buon blues, solido e ruspante, in cui la chitarra elettrica ha ricordato che quest’uomo una volta duettava con Jimi Hendrix ed era secondo solo a Eric Clapton.
Qualche intenso slow blues, vecchie glorie dal repertorio dei Buffalo Springfield (Bluebird, con lunga coda psichedelica, e la classica For What Is Worth), una splendida Old Man Trouble, classico della canzone nera americana esegutia al pianoforte e poi un lungo medley finale di incandescente rock-blues citando la classica Rocky Mountain Way. Il cuore c’è ancora, la forma fisica un po’ meno.
I vecchi rocker non si toglieranno mai le loro scarpe da rock’n’roll.