Sono da poco passate le otto di sera a Los Angeles quando si spengono le luci al Memorial Sports Arena e Springsteen e compagni prendono il loro posto sul palco. Il Boss sfoggia subito una grinta che nello scorso tour ci era sembrata un po’ “appannata”: è chiaro cosa gli sta a cuore, è chiaro che quello che grida e che mette in scena è puro, sano e sanguigno rock and roll. È chiaro anche qual è l’oggetto da guardare, aggredire ed esorcizzare: la crisi, un tempo duro da vivere, un momento difficile che ha messo in ginocchio buona parte dell’America e che qui in California ha tolto il lavoro a una persona su dieci.
È significativo che l’unico momento di “dialogo” il Boss lo riservi alla richiesta di aiuto per il “Los Angeles Food Bank” (paragonabile al “Banco Alimentare” italiano) a sottolineare – come ha detto in uno dei pochi istanti di pausa nelle quasi tre ore ininterrotte di performance – il bisogno di fare rock e costruire (“To rock the house and to build the house”). Non è musica per dimenticare o per allontanare le pene quella di Springsteen, non è la distrazione la ricetta proposta, anzi. La catarsi avviene guardando, ferendosi, facendosi graffiare il cuore da quello che il Boss ci “racconta”.
Il tema è dettato subito dal deciso incipit di Badlands, incorniciata da un cielo grigio e minaccioso proiettato sullo schermo che fa da orizzonte alla band sul palco. Si procede poi con una trafelata Candy’s Room, seguita da Adam Raised A Cain, Seeds, Johnny 99 e Youngstown che si susseguono in una sequenza mozzafiato, con le chitarre di Lofgren e Springsteen in primo piano.
Non a caso il disco più rappresentato è “Darkness on the Edge of Town” mentre le hit recenti e l’ultimo album vengono lasciati da parte. Springsteen non è qui per promuovere il suo ultimo lavoro (di cui presenta solo Outlaw Pete, Working on a Dream e la bellissima The Wrestler colonna sonora del film omonimo), ma per condurci in un viaggio, per raccontarci attraverso il rock questi tempi difficili.
È appunto un percorso che attraverso Promised Land, Backstreets, Thunder Road – sempre capace di prendermi alla gola e portarmi alle lacrime, anche se questa volta non c’è la pioggia di San Siro per nasconderle – ci regala anche momenti di puro intrattenimento con Raise Your Hand durante la quale Springsteen come di consueto gioca a “pescare” tra i cartelli del pubblico le richieste delle canzoni.
Tra questi sceglie Proud Mary e Growing up (mostrando una foto che lo ritraeva poco più che ragazzino a decorare un cartello del pubblico) mentre Mike Ness dei Social Distortion si unisce alla band per una potente esecuzione di Bad Luck. Dopodichè il Boss ritorna al tema principale e lo fa proponendo una canzone di Stephen Foster – Hard Times – chiedendo che questi tempi passino per non tornare più («Oh hard times come again no more») prima di condurci alla fine del cammino dove l’oscurità si dirada, fino alla terra di sogni e di speranze (Land of Hope and Dreams) che, assieme a American Land e a Glory Days, chiude la serata.
(Carlo Torniai)