Trent’anni fa si chiedevano “ma dove vanno i marinai”, divertente metafora per un’esistenza in cerca di significato. Oggi, nella nuova bellissima canzone presentata durante il concerto esclusivo nella piccola discoteca Vox di Nonantola, Modena, Non basta saper cantare, affermano che «una canzone non basta e non basta saper cantare». Perché la vita è più grande, ci supera da ogni lato: «Ci vuole orecchio e pazienza per questa piccola voce, muscoli e competenza, anche per portare la croce (…). Ci vuole tempo e pazienza per imparare il dolore, lacrime e competenza per impastare l’amore».
Loro sono Lucio Dalla e Francesco De Gregori, tornati a cantare, anche se non basta, dopo trent’anni dallo storico tour di Banana Republic: se allora si limitavano a un paio di pezzi insieme, poi ognuno con la sua band a fare le proprie composizioni, oggi hanno unito metà della band di uno e metà dell’altro, e cantano insieme tutta la sera, alternandosi una strofa per uno in ogni canzone. Come due vecchi amici, che ritrovandosi su un palco, testimoniano l’amore e la passione incondizionata per la canzone, quella cosa piccola e misteriosa che ci mette in comunicazione con il cuore, il nostro e quello di ogni altro. E che canzoni.
Dopo aver iniziato, da soli, De Gregori all’armonica e Dalla al clarinetto con una ripresa del classico Over The Rainbow (come dire, “stiamo per condurvi in un territorio pieno di magia, quello della musica”), ascoltando, una dopo l’altra, Come fanno i marinai, I matti, Canzone, Anna e Marco, Santa Lucia, L’anno che verrà, Come è profondo il mare, Buonanotte fiorellino, Viva l’Italia, Piazza Grande, uno non può far altro che pensare: dopo di loro nessuno. Che grande vuoto nella canzone italiana degli ultimi trent’anni, meno male che loro ci sono ancora.
A rendere testimonianza alla canzone, con la “C” maiuscola. Che sia un evento, una affermazione del valore della Canzone, lo testimonia la presenza, qui nell’area ospiti dove ci siamo trovati, di Ligabue, Biagio Antonacci, Luca Carboni. Presenti per rendere omaggio. E di decine di altri giornalisti, fotografi, radio, telecamere. È ovviamente un evento, come se la canzone italiana non avesse aspettato altro. C’è anche Bobo Craxi che si aggira con un grande sorriso canticchiando i versi di ogni brano.
È solo l’inizio, una prova aperta al pubblico, come dicono loro scherzando «Non è una reunion, questa, è una rifondazione!», di qualcosa di veramente grosso che avrà la definitiva consacrazione nei dieci concerti (cinque a Milano, al Teatro Arcimboldi, dal 5 al 9 maggio, e altri cinque a Roma, dal 19 al 23 maggio, al Gran Teatro).
Loro vivono tutto in modo disincantato, con ironia («Trent’anni fa volevamo cambiare il mondo, adesso non vogliamo proprio cambiare nessuno»). Ma soprattutto divertendosi, e molto, quando sul palco Dalla omaggia Santa Lucia di De Gregori, o quest’ultimo saltella lasciandosi andare alla piacevolezza della musica quando partono le prime note di L’anno che verrà.
Poi Francesco improvvisa lunghe parti di armonica a bocca in quasi ogni canzone, mentre Lucio prende in mano il sassofono e si intrufola dove può. Che divertimento. Per loro sul palco e per chi assiste. Concerto finito: «Non abbiamo ancora provato abbastanza canzoni» dice Dalla. Ma ricordandosi che qui siamo poco lontani da Ferrara, la patria dei busker, i suonatori di strada, e che anche lui da giovane era uno di questi, rimasti soli sul palco, regalano 4 marzo 1943 a due voci e una chitarra e un pianoforte. Chissà perché nessuno sa più scrivere canzoni come queste. Forse perché oggi chi canta pensa di essere più grande di una canzone. Invece no, non basta neppure saper cantare. Ci vuole qualcosa di più, di più grande, per muovere il cuore.
L’altra sera Dalla e De Gregori lo hanno testimoniato. «La vita ti mette davanti a certe cose per le quali neanche l’arte serve a consolare» aveva detto poco prima De Gregori. La vita è più grande.