Siamo appena alla seconda gara del Mondiale di Formula 1, e ci sono già emozioni come se ci stessimo giocando il titolo negli ultimi giri dell’ultimo GP della stagione. Alzi la mano chi non avrebbe voluto una cosa simile: sorpassi e controsorpassi, piolemiche, rischi e azzardi, strategie di scuderia simili o meno a ordini. Uno spettacolo, anche in pista dove, gomme o non gomme, per il momento la bagarre vera la stiamo vedendo. Prendiamo la gara di ieri: a Sepang, doppietta Red Bull. Siamo tornati allo status quo? Decisamente sì: anche e soprattutto nei rapporti di squadra, visto che Sebastian Vettel e Mark Webber sono tornati a non parlarsi e anzi, a doversi trattenere per non mettersi le mani addosso, almeno l’australiano nei confronti del tedesco. Esageriamo? Basta vedere quello che è accaduto appena prima della cerimonia di premazione. Vettel ha provato a spiegare a Webber quello scriteriato sorpasso, ma Mark non ha voluto sentire ragioni, spalleggiato a distanza dalla moglie che si è detta “disgustata” da quanto accaduto. L’accusa dell’australiano è pesante: “Io non mi sono mai ribellato, lui come al solito verrà protetto”. Chris Horner si è trincerato dietro un semplice “Pensiamo alle prossime gare”, ma ha anche calcato la mano quando ha detto che “sarebbe stato inutile chiedere a Vettel di restituire la posizione, perchè non l’avrebbe fatto”. Insomma: dalla Malesia esce una versione di Sebastian Vettel piuttosto bruttina: un robot che calcola la soluzione migliore per sè e la mette in pratica, senza curarsi dei suoi superiori. Inevitabile tornare con la mente a quel GP di Turchia di tre anni orsono: situazione identica, con Webber in testa Vettel provò il sorpasso. Allora gli andò male: finì fuori pista, mentre Webber continuò ma dovendosi fermare per riparare la vettura chiuse terzo. Rimase in testa al mondiale, ma a fine anno quei punti persi gli costarono il titolo. Che, guardacaso, vinse Vettel in volata. Ad ogni modo, adesso è una faida: l’unica soluzione possibile sarebbe che il tedesco decidesse deliberatamente di consegnare una posizione (magari la prima) al compagno di squadra in uno dei prossimi Gran Premi. Ieri il tre volte campione del mondo ha ammesso di aver sbagliato, ma siamo sicuri che l’abbia detto più per il rischio corso che per l’azione in sè; e attenzione, anche Horner e Webber sono furenti per questo aspetto della vicenda più che per come è finita la corsa. Perchè Vettel era visibilmente più veloce e in un modo o nell’altro sarebbe passato, e perchè la Red Bull nella sua breve storia non ha mai creduto agli ordini di scuderia: nei limiti del possibile, è sempre stato chiaro il concetto del “giocatevela tra di voi”. Si è detto e scritto tanto su tale scelta: un azzardo troppo grosso, un modo stupido di perdere titoli, quando dall’altra parte Ross Brawn faceva fermare Rubens Barrichello sulla linea del traguardo per consentire a Schumacher di prendersi punti in più. Già:
Ieri il grande stratega l’ha fatto di nuovo, congelando le posizioni di Hamilton e Rosberg che prima invece se le erano suonate di santa ragione. Atmosfere simili in Mercedes: Lewis ha ammesso candidamente di non meritare il podio, Nico ha fatto buon viso a cattivo gioco ma si vedeva che si sarebbe sbranato il suo capo se avesse potuto. Perciò, detto che Vettel ha rischiato tantissimo cercando il sorpasso in quel punto del circuito, siamo della scuola che nega gli ordini di scuderia se non quando strettamente necessari: nelle ultime gare del Mondiale ad esempio, quando fare calcoli diventa imprescindibile, o come nella situazione di Fernando Alonso, che ieri ha voluto fare di testa sua (pare evidente che sia andata così) e ha finito con il prendere zero punti quando 6 o 8 li avrebbe forse guadagnati, e avrebbe fatto tutta la differenza del mondo. Perchè non riusciamo a toglierci dalla testa che se Ron Dennis avesse imposto categorie fredde e ragionate sulla tabella di marcia della sua McLaren non avremmo mai assistito ai duelli epici tra Senna e Prost, e pazienza se nel 2007 gli è andata male con Alonso e Hamilton, così come ci faremo una ragione del gelo interno alla Red Bull.
(Claudio Franceschini)