MIDLAKE LIVE IN LONDON – Dicono che Londra, in una brutta giornata, sia comunque meglio di qualunque altra città al mondo quando fa bello. Per chi ama la musica, questo è senz’altro vero, anche quarant’anni e passa dopo l’epopea della Swinging London, dei giorni dell’UFO e dei concerti psichedelici dei Pink Floyd, dei Beatles e di Abbey Road o dei giorni del club 101 e del punk.
Londra pulsa e si muove ancora al ritmo della grande musica. Basta andare, ad esempio, in una domenica sera, in un piccolo scantinato, “The Drop”, per trovarsi alla presentazione di tre artisti emergenti di valore assoluto. E soprattutto tre proposte musicali una differente dall’altra, ma che lo straordinario pubblico londinese sa apprezzare in ogni sua sfumatura.
In una serata come questa non solo ci sono i più importanti critici musicali, venuti ad assaporare la possibile “next thing” della scena musicale, ad esempio quello della prestigiosa rivista Time Out, ma ci sono ragazzi e ragazze giovanissimi. La birra gira sempre, e molta, ovviamente, visto in quale città siamo, ma tutti ascoltano con la massima attenzione e partecipazione. Già, perché erano usciti di casa per la musica. E la musica, per le strade di Londra, è ovunque, e si è fatta incontrare.
Presentavano i loro nuovi dischi la bravissima Emma Tricca, i Superimposers e i Colorama. Emma Tricca, ragazza italiana innamorata del folk inglese dei Sessanta, primi Settanta, quello della stagione gloriosa dei John Renbourn, Sandy Denny, Fairport Convention, ha avuto il coraggio di mollare tutto e venire a stabilirsi qui. E qui ha trovato dei palcoscenici attenti e una chance.
Il suo nuovo disco, “Minor White”, è una gemma senza tempo di purissima canzone acustica dal fingerpicking delizioso. Voce incantevole e melodie di classe pregevole, che scivolano dal folk al jazz. Dopo di lei i Superimposers, ma non hanno lasciato particolarmente il segno. Lo hanno lasciato invece i bravisismi Colorama, band di neo-psichedelica, per certi versi similari agli americani Brian Jonestown Massacre, ma dotati di una marcia pop molto più significativa.
In alcuni passaggi ricordavano la straordinaria psichedelica pop di una band leggendaria come gli Zombies. I crescendo chitarristici sono incandescenti, e fanno venire alla mente una Swinging London della memoria, quando qualcuno poteva titolare così quei giorni: "Tonight everybody’s making love in London".
In serate come queste, semplicemente perfette, mai parole sanno essere migliore colonna sonora di una città e di un senso della musica che non si trovano altrove.
Due sere dopo, in un’ambientazione decisamente più importante, la Roundhouse, locale storico dove si esibirono tutti, da Jimi Hendrix ai Doors, un’altra dimostrazione di quanto il cuore della City batta al ritmo della musica. Sono di scena gli americani Midlake, di cui abbiamo già parlato su IlSussidiario.net, band texana che mette insieme Andrej Tarkovski, misticismo e pulsioni folk rock.
Ancora quasi sconosciuti in madrepatria, hanno invece trovato nell’attentissimo e colto pubblico inglese la loro “America”. Non è la prima volta che succede che una band americana trovi gloria e successo prima in Inghilterra e non sarà l’unica, ma un motivo ci deve essere. I Midlake fanno aprire lo show a degli amici, il primo dei quali è Jason Lytle, ex Grandaddy, una band che aveva ottimamente impressionato negli anni Novanta.
Sembra una sorta di Neil Young post grunge e ha carisma e belle canzoni. È stato invitato ad andare in tour con i Midlake perché, come dicono loro,«ci piace portare con noi gli artisti che ci piacciono» . Generoso e molto vintage, questo modo di andarsene in giro un po’ alla Rolling Thunder Revue, di dylaniana memoria, un carozzone di musicisti santi e peccatori. Lytle, a fine serata, suonerà una divertentissima versione di AM 180, dal repertorio dei Grandaddy, accompagnato dai Midlake. Dopo di lui un altro ospite, John Grant, autore di uno dei più bei dischi del 2010, “Queen of Denmark”.
È un cantante da paura, John Grant, non sbaglia una nota, e ha sentimento e senso della musicalità come pochi. Accompagnato dal solo tastierista dei Midlake, esegue le canzoni più belle di "Queen of Denmark" con uno struggimento sonico che ti fa capire che solo con i Midlake poteva incidere un disco. Ogni tanto si avvicina al moog o tastiere elettroniche e tira fuori divertenti e pazzoidi suoni finto-futuristi, che in realtà ricordano certe robe che si facevano negli anni Settanta.
A fine serata anche lui si unirà ai Midlake per eseguire un brano dei tempi in cui Grant militava negli Czars, ed è un momento di fascino purissimo. Poi è l’ora dei Midlake, tre chitarre, un tastierista flautista, basso e batteria. In sintesi: una delle più impressionati macchine da rock di questo terzo millennio. Dal vivo sono capaci di produrre momenti di musicalità cosmica, che spazia e racchiude, ma poi dilata e allarga il folk anglo-americano, il rock psichedelico, gli umori blues.
Quando anche il leader e cantante prende in mano un secondo flauto, uno spettatore urla un divertente "Two flutes? What a fucking band!" forse temendo in un ritorno di quel progressive di antica memoria che tanto male ha fatto alla musica rock più genuina. Tim, frontman dei Midlake risponde "What a fan!". Scherzano, evidentemente, sia lo spettatore che il musicista. Certo che ben due flauti potrebbero ammazzare un elefante, specie se stai cercando una dose di rock’n’roll.
Con i Midlake invece anche due flauti suonati contemporaneamente fanno rock’n’roll. In una serata come questa anche i Wilco, la miglior live band americana degli ultimi quindici anni, viene dimenticata: stasera, uscendo dalla Roundhouse comincio a pensare che Tweedy e soci potrebbero tranquillamente abdicare, perché c’è una nuova band in città: i Midlake dopo il concerto che li ha consacrati alla regale Londra potrebbero adesso essere la migliore live band americana.
Le migliaia di persone si pigiavano nella "rotonda del rock" ascoltavano in religioso silenzio, rapiti e storditi dal suono vorticoso che arrivava dal palco. Canzoni che partono – apparentemente – come tranquille nenie folk, con un senso dello struggimento che spezzerebbe il cuore anche del più incallito furfante al mondo, e che si aprono alla coralità vocale "monastica" che contraddistingue i Midlake e infine si squarciano in esplosioni di magma sonoro, crescendo cosmici che lasciano storditi.
Grazie anche al nuovo innesto nella band, un nuovo chitarrista solista che lancia strali di vorticosa elettricità, portandoti su oltre le volte bluastre di questa Roundhouse, dove ieri sera, anche Jimi Hendrix si era staccato dal posterone appeso sopra le scale d’ingresso e che ricorda la sua esibizione qua dentro un secolo fa, per scendere in platea ad ascoltare una band formidabile, i Midlake.