L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola
Osama bin Laden vuole seminare il terrore al Mondiale di calcio sudafricano? Si metta in coda con assassini, stupratori, rapinatori, fanatici della Lega giovanile dell’Anc (il partito di governo) che da decenni fanno la stessa cosa senza tante fanfare.
Perché il Sudafrica al quale la Fifa ha affidato la diciannovesima edizione della manifestazione è sì il paese di quattro premi Nobel per la pace in meno di quarant’anni (Luthuli, Tutu, De Klerk e Mandela), la nazione arcobaleno che nel 1994 ha rinunciato all’apartheid per inaugurare una democrazia multirazziale tuttora ineguagliata nel continente africano. Ma è anche il paese dove ogni giorno in media si commettono 50 omicidi, dove un uomo ogni quattro ammette di avere almeno una volta nella sua vita violentato una donna e uno su nove di averlo fatto più di una volta, dove è praticamente certo che almeno una o due volte nel corso della vostra esistenza una banda armata entrerà in casa vostra a rapinarvi.
Con forze di polizia non sempre all’altezza della situazione, i sudafricani si difendono come possono: i bianchi emigrando in massa (800 mila su 4 milioni se ne sono andati fra il 1995 a oggi secondo studi indipendenti), i neri linciando i criminali, veri o presunti, che hanno la sfortuna di cadere nelle loro mani (l’ultimo episodio riguarda gli studenti di una scuola vicino a Durban, che hanno ucciso a pietrate uno dei tre rapinatori che avevano cercato di derubarli dei loro cellulari), i più ricchi trincerandosi nelle “gated community”, quartieri dotati di alte mura con filo spinato elettrificato, cavalli di frisia e guardie armate, all’interno dei quali sono concentrati tutti i servizi di cui la piccola comunità può avere bisogno (centri commerciali, uffici postali, cineteatri, eccetera) senza doversi avventurare nel mondo periglioso.
A dimezzare le previsioni di visitatori stranieri in occasione dei Mondiali non sono state solo le minacce terroristiche o la realtà della criminalità rampante: il prezzo dei voli per Johannesburg e Città del Capo (destinazioni prive di soluzioni low cost) e gli effetti della crisi economica europea probabilmente incidono di più sulla drastica riduzione di prenotazioni da parte dei supporter tedeschi e inglesi che non la paura di essere rapinati.
Fatto sta che la Fifa ha decurtato da 500 mila a 250 mila il numero dei tifosi in arrivo dall’estero previsti, mentre le autorità locali si sono attestate sulla cifra di 373 mila. Autorità locali dilaniate fra due esigenze contrapposte: rassicurare cercando di convincere che la situazione non è così grave come la si dipinge e allo stesso tempo allestire misure eccezionali volte a evitare il peggio.
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Come per esempio l’istituzione di 56 Corti speciali temporanee (che costeranno l’equivalente di 4,6 milioni di euro) nelle nove località che ospiteranno le partite, senza le quali il lavoro dei 41 mila agenti incaricati di mantenere l’ordine durante il torneo risulterebbe vano: i tribunali ordinari sudafricani sono praticamente inutilizzabili a causa dell’enorme quantità di casi arretrati, per cui scippatori e ladruncoli che prendessero a bersaglio le migliaia di turisti stranieri attirati dal Mondiale se la caverebbero, in assenza di Corti a loro riservate, con un fermo di polizia di 24 ore.
«Ma gli stranieri non rischiano»
«La criminalità è un serio problema in Sudafrica, ma va visto nella giusta prospettiva», spiega Johan Burger dell’Institute for Security Studies di Pretoria. «Il tasso di omicidi è sceso da 67,9 ogni 100 mila abitanti nel 1995 a 37,3 nel 2009. Si tratta di una flessione del 44 per cento. Naturalmente è un dato molto alto se raffrontato con la media mondiale, che è 7,6 ogni 100 mila persone (in Italia è 1,06, ndr). Comunque nell’80 per cento degli omicidi la vittima e l’assassino si conoscevano; in altre parole, i delitti avvengono all’interno di un contesto sociale che non costituisce una minaccia diretta agli stranieri.
Lo stesso si può dire di altri crimini come gli stupri, le aggressioni e i tentati omicidi. Attualmente le più grandi minacce alla sicurezza in Sudafrica sono rappresentate dalle rapine in casa e negli esercizi commerciali e dai furti d’auto con aggressione al conducente, fenomeni contro i quali si registrano pochi successi. Però, con la relativa eccezione dei furti d’auto con aggressione, non costituiscono una minaccia per i turisti».
Linea difensiva analoga quella del sito TrueCrimExpo, che evidenzia i numeri più incoraggianti: uno studio dell’università di Stellenbosch basato su intervista a 907 turisti in partenza da Città del Capo e Johannesburg dopo due-tre settimane di soggiorno ha rivelato che solo il 6 per cento di essi era stato vittima di un crimine; che durante la Confederations Cup dell’anno scorso nelle vicinanze degli stadi sono stati compiuti solo 39 delitti gravi; che nel 2009 solo 139 degli 870 mila britannici che hanno visitato il Sudafrica hanno avuto bisogno di assistenza consolare, contro 5.500 in Spagna e 2 mila in Francia.
Non c’è dubbio che alcuni reati sono intimamente legati al contesto socio-culturale. L’indagine del Medical Research Council nelle province del KwaZulu-Natal e del Capo Orientale che ha rivelato che un uomo su quattro ammette di aver stuprato donne nel corso della sua vita (uno su venti durante l’ultimo anno) non stupisce in un paese dove anche l’attuale capo di Stato è stato processato per quel reato quando era vicepresidente. Ma Jacob Zuma, ex capo della struttura clandestina e dei servizi segreti dell’Anc, è riuscito a convincere i giudici che il rapporto fra lui allora 63enne e la 31enne amica di famiglia che conosceva da quando era bambina era stato consensuale.
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Gli strascichi dell’apartheid
La strage di coltivatori bianchi nelle campagne (1.804 omicidi e 11.785 aggressioni fra il 1991 e oggi) è indubbiamente legata a una tensione che perdura dai tempi dell’apartheid: il potere politico nel 1994 è transitato dalle mani della minoranza bianca a quelle della maggioranza nera, ma nelle campagne le grandi aziende agricole sono ancora quasi tutte di proprietà dei boeri, i coloni calvinisti di origine olandese e francese che sciamarono nell’Africa australe fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento come conseguenza delle guerre di religione in Europa.
È stato assassinato da due braccianti presso la sua fattoria nell’aprile scorso Eugene Terre’Blanche, già leader dell’Awb, il movimento di resistenza afrikaner (il nome locale dei boeri) di estrema destra da lui fondato per contrastare i negoziati che il governo del Partito nazionalista bianco stava attivando con l’opposizione nera. E per aver cantato in pubblico la canzone del tempo della lotta all’apartheid Shoot the Boer (Spara al boero) è finito al centro di un braccio di ferro politico-giudiziario Julius Malema, presidente della Lega giovanile dell’Anc.
Il bullissimo politico nero continua a violare il dispositivo con cui il tribunale gli ha ordinato di non cantare più in pubblico tale inno, e l’Anc lo ha multato e censurato per aver «minato la fiducia del popolo nella leadership dell’Anc», ma non per aver commesso un “hate crime”, come chiedevano organizzazioni per i diritti umani e partiti e stampa d’opposizione.
E se un giorno passasse Obama?
Con gli elementi bianchi delle forze dell’ordine demoralizzati per la situazione e una leadership nera non impeccabile sulla sicurezza, ci si chiede incrociando le dita come i sudafricani riusciranno a vincere la doppia sfida alle viste: garantire la sicurezza degli ospiti stranieri dalla minaccia dei criminali comuni e quella dei 43 capi di Stato che assisteranno alle partite dalle mire dei terroristi. Secondo gli investigatori iracheni l’uomo che al Zawahiri in persona aveva incaricato di progettare e realizzare un attentato in Sudafrica durante i Mondiali sarebbe stato arrestato all’inizio di maggio a Baghdad.
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Si tratta dell’ex colonnello dell’esercito saudita Abdullah Azam al Qahtani, responsabile di attacchi suicidi nella zona sud della capitale irachena. È vero che le minacce rese note via internet da Aqmi (al Qaeda nel Maghreb islamico) riguardano soprattutto la partita fra Stati Uniti e Inghilterra e quelle di Francia, Germania e Italia (paesi che hanno truppe in Afghanistan). Tuttavia a non far dormire sonni tranquilli al capo della polizia Bheki Cele è un’altra faccenda: «Più di tutto prego che gli americani non superino il primo turno», ha confessato candidamente nel corso dell’audizione convocata dalla Commissione parlamentare per la sicurezza al fine di conoscere come la polizia sudafricana si prepara alla difficile missione.
Più gli Stati Uniti andranno avanti nel torneo, più probabile sarà una visita lampo di Barack Obama. Che richiederebbe, secondo Cele, uno sforzo operativo pari a quello che sarà fatto per tutti gli altri 43 capi di Stato presi insieme. Insomma, se il capo della polizia sudafricana fosse un arbitro, non fischierebbe mai un rigore per gli americani.