Enrico Letta, al Meeting di Rimini per partecipare col ministro Tremonti all’incontro dal tema “Oltre la crisi?” discute con ilsussidiario.net delle strategie messe in campo dall’esecutivo per fronteggiare la crisi economica. «Buona la strategia del governo sul tema delle regole, ma tardiva su quello degli aiuti alle imprese». Il welfare? «È mancata una riforma degli ammortizzatori sociali».
Tra le misure del governo, dopo i Tremonti bond, la principale si chiama moratoria sui crediti. Cosa pensa in generale della strategia che l’esecutivo ha adottato per far fronte alla crisi del secolo?
La strategia del Governo sulla crisi è stata buona e sufficiente sul tema delle regole e della partecipazione ai luoghi internazionali in cui definire nuove regole, ma insufficiente e tardiva per quanto riguarda le misure concrete che riguardano le imprese italiane. Mentre sul primo aspetto ho trovato molto efficace il lavoro fatto sui global standard e gli sforzi compiuti per evitare il collasso del sistema finanziario, sul secondo credo invece che bisognasse intervenire in modo molto più tempestivo di quanto si è fatto. Poi il grande problema – non risolto – del ritardato pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, che, temo, affosserà o metterà in gravi difficoltà molte imprese. E infine un punto di importanza decisiva: è mancata una riforma degli ammortizzatori sociali.
Il problema di una riforma del welfare è una variabile totalmente dipendente della spesa pubblica?
Assolutamente no. La riforma del welfare è uno degli aspetti chiave della strategia anticrisi. C’è da sperare in un intervento, che doveva esserci prima ma non c’è stato. C’è stato solo l’utilizzo dei soldi delle Regioni per dare la cassa integrazione. Oggi c’è bisogno di una maggiore estensione della cassa, ma soprattutto di una riforma complessiva che elimini la logica con cui oggi la cassa integrazione viene data alle medie e grandi imprese mentre alle piccole viene invece data una deroga. Il problema non è la deroga ma la regola.
Cosa ne pensa delle gabbie salariali?
Non è una soluzione, ma una boutade estiva. Detto questo, esiste il problema delle differenziazioni dei salari e lo si risolve con la contrattazione decentrata e con la no-tax area che Bersani ha proposto per le regioni obiettivo 1.
Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi parlando al Meeting l’altro giorno ha promosso il federalismo purché sia “effettivo e solidale”. C’è il rischio che non sia così?
Il rischio che il federalismo fiscale aumenti le disparità c’è eccome. Bisogna lavorare con grande attenzione per evitare che tutto ciò accada.
Lei ha detto che il Pd, per avere speranza di vittoria, ha bisogno di una coalizione. Con Di Pietro o con l’Udc?
La coalizione deve essere larga, basata sui programmi e non sul collante dell’antiberlusconismo. In questo senso l’interlocutore naturale e più importante è l’Udc.
Il Pd si ritrova di fronte al dilemma Di Pietro. Ma l’Idv non pregiudica la costruzione di quello spirito bipartisan necessario per fare certe riforme, come ad esempio quella della giustizia?
Noi dobbiamo immaginare di dialogare con il Di Pietro ministro dei lavori pubblici. Quel Di Pietro è stato un buon ministro e con quel Di Pietro si può dialogare.
Sono molti gli esponenti di spicco del Pd – e l’ultimo in ordine di tempo è stato il sindaco Chiamparino – che si sono detti preoccupati per l’incapacità del Pd di parlare con la parte più dinamica dell’elettorato del Nord. Lei che dice?
È un problema complesso, il Pd è in arretramento ovunque e c’è bisogno di una strategia complessiva. Mi sembra che quella messa in campo da Bersani in questo momento sia la strategia giusta e io lo sostengo con grande convinzione.
Lega, Di Pietro e Udc mettono in questione il bipolarismo o il bipartitismo?
Io penso che il bipolarismo debba rimanere e vada difeso. È il bipartitismo che non va e perseguirlo da parte del Pd è stato un grave errore. Lo considero un vestito che si attaglia male all’Italia. Un errore che ci ha messo nella condizione in cui siamo oggi, cioè di opposizione, condizione da cui dobbiamo uscire al più presto, passando dal ruolo di opposizione al ruolo di vera, credibile alternativa.