Carl Anderson è il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, una delle opere di carità più antiche d’America. Fu fondata nel 1882 per dare assistenza agli emigranti e per aiutare famiglie e preti in difficoltà economiche; oggi è coinvolta in molteplici attività, comprese iniziative di contrasto all’aborto e di sostegno alla vita, nonché una compagnia di assicurazioni fondata su investimenti etici. Al termine dell’incontro a cui ha partecipato al Meeting di Rimini, Anderson ha risposto ad alcune domande de ilsussidiario.net.
La nuova enciclica del Papa segna il rinnovarsi ai nostri tempi di un’attenzione della Chiesa di cui voi siete segno ancora oggi. La storia dei Cavalieri di Colombo è cominciata nello stesso periodo in cui la Chiesa vedeva gli inizi della sua Dottrina sociale: cos’è cambiato da allora?
I Cavalieri di Colombo furono fondati nello stesso periodo in cui vedeva la luce l’enciclica Rerum Novarum. Allora si era agli inizi della Dottrina sociale della Chiesa: c’era Leone XIII. La nostra istituzione ha come scopi la giustizia sociale, la solidarietà, l’aiuto alle comunità e mira a costruire una società fondata su dei principi etici saldi. Rispetto ad allora non è cambiato tantissimo. La dinamica culturale può cambiare nel tempo, con le nuove tecnologie o i nuovi sviluppi sociologici; le sfide, però, restano le stesse di allora. Nella recente enciclica di Benedetto XVI vediamo tornare di attualità molte delle stesse questioni trattate nella Rerum Novarum. Una differenza fondamentale sta nell’audience a cui si rivolgono i papi: Leone XIII parlava ad un pubblico europeo, quand’invece Benedetto XVI ha parlato a un uditorio globale. Occorre che si tengano in mente l’esperienza e le lezioni prodottesi in Europa e in America durante le rivoluzioni industriali del XIX e del XX secolo, e aiutare il resto del globo a compiere gli stessi gradi di sviluppo, ma senza rifare gli stessi errori.
La primissima attività dei Cavalieri di Colombo era quella di assistere gli emigranti. Oggi l’emigrazione è un problema che sta toccando fortemente l’Italia. La vostra organizzazione è stata un motore di integrazione. Quali sfide pongono questi nuovi flussi migratori?
Le emigrazioni tremende che stanno caratterizzando questi anni sono probabilmente la più grande sfida della globalizzazione. Esse pongono, infatti, un problema che non riguarda solo il confronto tra persone diverse, ma soprattutto tra culture diverse. La situazione degli USA di allora è diversa rispetto alle migrazioni di oggi per due ragioni: innanzitutto, all’epoca, moltissimi emigrati condividevano l’ideale cristiano. Anche se appartenevano a denominazioni confessionali differenti, comunque tra loro c’era una sostanziale consonanza di valori, esperienze e tradizioni. Non è questo che sta accadendo all’Europa di oggi: la vostra vicinanza geografica ai paesi islamici vi sta ponendo sfide diverse.
E qual è la seconda ragione?
L’ulteriore differenza riguarda il carattere della società americana. Negli USA abbiamo chiara l’idea secondo cui accettando alcuni principi, quelli della società americana, allora diventi americano, puoi già dirti americano. Questa opportunità, perciò, è aperta pressoché a ogni persona del mondo che venga in America, e che concordi con l’esperimento americano. È più difficile per un americano, per esempio, andare in Giappone, uniformarsi a quelle tradizioni e dire “sono giapponese”. Per questa sfida, in verità, non abbiamo ancora trovato una buona risposta. Quest’aspetto, però, è ben più problematico in Europa che negli Stati Uniti.
I Cavalieri di Colombo sono espressione di una società sussidiaria. Quale concetto di sussidiarietà lei ha in mente nel dirigere questa organizzazione?
La sussidiarietà non è di certo un sistema per concentrare più potere in quello o in quell’altro livello di governo; è un principio che mira ad attribuire più potere alle persone e che contribuisce a maturare la responsabilità individuale. I Cavalieri di Colombo hanno sempre sostenuto un concetto di sussidiarietà basato sull’idea di solidarietà e di responsabilità personale.
Entrambi allo stesso tempo?
Sì, entrambi allo stesso tempo. La sussidiarietà può essere compresa solo nel quadro di un’antropologia cristiana, perché dipende dal modo in cui una persona guarda all’altra, e dal modo in cui concepisce la propria responsabilità verso l’altra.
Il Governo vi sostiene nelle vostre attività? Ricevete dei finanziamenti pubblici per quello che fate?
Noi cerchiamo di essere completamente sostenuti da volontari e di autofinanziarci con le sole offerte private. Noi non cerchiamo, né riceviamo denaro dal Governo. Facciamo i nostri progetti con i nostri soldi. Non siamo contro quelle organizzazioni che si avvalgono dell’aiuto del Governo per quello che fanno, come molte opere di carità o gli ospedali cattolici. Semplicemente troviamo più efficace e fruttuoso per fare il nostro lavoro farlo interamente con i nostri mezzi.
Passiamo infine a una domanda di stretta attualità. Si è parlato molto in queste ultime settimane della volontà del presidente Obama di garantire l’accesso alla sanità a tutti. Cosa pensa del suo piano?
Introdurre la copertura sanitaria obbligatoria negli USA pone due problemi. Il primo riguarda la sussidiarietà: è veramente una responsabilità del Governo nazionale quella di intervenire con tale riforma? Milioni e milioni di americani oggi godono già di una sanità eccezionale; il problema, dunque, è se, per introdurre un sistema sanitario anche per quelli che non ne sono coperti, si debba intaccare questo sistema già di per sé efficiente, o se esistano altri modi di garantire tale copertura, modi in cui l’intervento del Governo risulti meno intrusivo. Il secondo problema che si pone per gli Usa deriva dalla possibilità che le strutture sanitarie possano finanziare piani di aborto ed eutanasia sostenuti dal Governo. Ma questa scelta non ha un largo supporto da parte del popolo americano, e quindi tale tema sta diventando molto controverso.