Il liberale Piero Ostellino dialoga a distanza con il liberale, ma credente, Tony Blair. «Siamo tutti figli del valore morale derivante da un uomo che si è fatto crocifiggere duemila anni fa per la nostra liberazione. Ma qui il liberale non credente e l’uomo di fede si dividono». E la fede? «Non so se la grazia divina, prima o poi, mi cambierà. Ma l’importante è rimanere in una posizione di domanda».
Ostellino, quali accenti nel discorso dell’ex primo ministro l’hanno più colpita?
Mi hanno colpito soprattutto due aspetti: da un lato la difesa dell’autonomia dell’individuo rispetto allo stato. Lo stato cioè non deve prevaricare l’individuo, ma fornire una cornice normativa dentro la quale il cittadino possa esprimere le sue potenzialità. Su questo Blair è molto chiaro. E il secondo aspetto è l’importanza che ha la fede religiosa nella nostra società. Lo dico da non credente, ma sottoscrivo entrambi perché sono tipicamente liberali.
La fede, ha detto l’ex premier, naturalmente non come forma di superstizione, e nemmeno come “forma di sicurezza contro le difficoltà della vita”, ma come “salvezza per la condizione umana”.
Blair, da buon cattolico “neofita”, come dice all’inizio del discorso, sottolinea molto l’importanza della presenza di Dio nella società: “ho imparato – dice – che la persona e lo stato, pur appoggiati dalla comunità, non bastano. Una società ha sempre bisogno di un posto anche per la fede”. È una posizione realmente cattolica e sincera.
Da liberale lo pensa anche lei, che “una società ha sempre bisogno di un posto anche per la fede”?
Io sono convinto che il messaggio di Cristo ha un’importanza straordinaria, indipendentemente dal fatto che Cristo stesso fosse o non fosse, sia o no creduto figlio di Dio. In altri termini, per dirla con Croce, non posso non dirmi cristiano, perché ritengo che il liberalismo abbia un forte debito verso il cristianesimo e che a fondamento dei principi liberali ci siano anche i principi del cristianesimo. E il primo è quello di aver messo al centro la persona – il liberalismo la chiama individuo – ma è fondamentalmente la stessa cosa: sulla sacralità e intangibilità della persona dal punto di vista cristiano e dell’individuo dal punto di vista liberale, siamo totalmente d’accordo.
Cosa pensa della fede di Tony Blair, e del suo rapporto con la ragione?
Mi sembra la fede di un uomo che ha vissuto un profondo travaglio personale, in coscienza. Il fatto però che sostenga discendere dalla presenza di Dio la rilevanza della religione anche dal punto di vista etico politico, mi fa avvertire nelle sue parole ancora una certa eco del protestantesimo. Ma questo dimostra quanto la distanza sotto il profilo etico politico tra cattolicesimo e protestantesimo non sia così forte come si crede comunemente e come pensano ancora oggi molte gerarchie cattoliche. In questo siamo tutti figli del valore morale derivante da un uomo che si è fatto crocifiggere duemila anni fa per la nostra liberazione. Ma qui il liberale non credente e l’uomo di fede si dividono. Il non credente – e badi bene, non chi difende una posizione di ateismo preconcetto – sa che dopo Cristo la società non è più stata la stessa: Gesù Cristo è venuto a insegnare agli uomini che essi sono liberi a prescindere dalle differenze e che la persona umana è intangibile ed è sacra. Questo è un messaggio politico, eminentemente politico, che libera la politica dai falsi idoli e separa Dio da Cesare.
Blair dice, parlando della sua esperienza politica: “ho cominciato sperando di riuscire a far felici tutti e alla fine ho dovuto ricredermi”. Che ne pensa?
È una forte affermazione liberale: Dio ci guardi da quelli che perseguono la nostra felicità! Il politico deve creare le condizioni affinché ciascuno di noi persegua il proprio ideale di vita e la propria realizzazione, a condizione di non ostacolare la realizzazione altrui. L’idea che l’uomo politico abbia come missione quella di rendere felice il suo prossimo, sfocia nel totalitarismo: io so qual è il bene per voi e ve lo impongo. Ma nel momento in cui Blair si è accorto che questo sforzo era inane e ideologico, perché avrebbe imposto agli altri un’arbitraria felicità, ha capito che non sarebbe più stato un uomo libero. Perché la funzione di uno stato libero e liberale è di metterci anche nelle condizioni, se vogliamo, di sbagliare. E anche in questo la Chiesa insegna: il libero arbitrio non è la facoltà di peccare, pagandone poi però le conseguenze? Diversamente Dio ci avrebbe imposto un’ottima condotta, facendoci però rinunciare alla nostra libertà.
Vede in questa nozione di libertà un altro debito della società liberale verso il cristianesimo?
Sì. Quando Isaiah Berlin divide le libertà in positive e negative e dice che l’unica vera libertà importante è la libertà negativa, cioè la libertà come assenza di costrizione, libertà da-, mette in guardia contro i pericoli della libertà positiva come autorealizzazione: l’idea che dentro di noi ci sia un’identità autentica e un’identità falsa e che il problema sia quello di far emergere l’identità autentica.
Per il credente Tony Blair, però, la libertà che lei ha citato, come libertà di autorealizzazione, esiste eccome e si compie: non nella città ma nella fede.
Si compie nella fede, ma allora è una questione di coscienza individuale, che nessuno pensa di imporre in modo coercitivo. La Chiesa dice: guarda che se tu rubi, commetti peccato; e lo stato: se tu rubi, commetti un reato che può essere punito. È l’ennesimo debito del liberalismo, perché unificare reato e peccato è tipico delle teocrazie. O degli stati totalitari, che vogliono impadronirsi delle coscienze.
La politica italiana deve imparare qualcosa da questo discorso?
Deve imparare molto, perché dentro quel discorso c’è l’affermazione che la funzione dello stato è quella di creare la cornice dentro la quale ciascuno deve poter perseguire il proprio bene. E poi deve imparare davvero il principio di sussidiarietà. Vede, da vecchio liberale piemontese non posso che essere per lo stato unitario… ma questo deve riconoscere quel principio di sussidiarietà che sta alla base della libertà di ciascuno di noi. Riconoscerlo e possibilmente applicarlo.
“La conoscenza è sempre un avvenimento”. Quale riflessione le suggerisce il titolo del Meeting?
Mi ricorda il “conoscere per deliberare” di Luigi Einaudi. La conoscenza è obiettivamente un progresso, e se si vuol vivere una vita civile bisogna innanzitutto conoscere. La sintesi di fede e ragione che il Papa difende mi pare questo. Senza la pretesa di fare della ragione la dea che dobbiamo portare sulle spalle.
Un’ultima domanda. La fede del credente Tony Blair come interroga la ragione liberale di Piero Ostellino?
Io non sono credente, ahimè, ma solo un aspirante credente: così sono solito dire di me stesso. Non so se la grazia divina, prima o poi, mi cambierà. Se non lo farà, pazienza. Non sono in grado di rispondere alle grandi domande alle quali la fede è capace di dare una risposta, ma penso che l’importante sia rimanere in una posizione di domanda.