Il Partito popolare europeo, guardando al futuro del nostro continente, parla un linguaggio comune: quello del federalismo e della sussidiarietà. E’ la tesi di fondo dell’incontro di ieri con il popolare Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, Mario Mauro, capo della delegazione del deputati europei del Pdl e Roberto Formigoni, governatore della Lombardia e già vice presidente del parlamento europeo. Gli esponenti politici, parlando dell’“Europa delle regioni”, si sono confrontati su tre argomenti proposti dal moderatore, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: cosa intendiamo quando parliamo di Unione europea, Europa delle regioni e rapporti fra stati, sussidiarietà.
I relatori sono partiti dalla preoccupazione comune di far recuperare consensi all’Unione europea, il cui indice di gradimento fra i cittadini dei 27 stati membri, secondo recenti sondaggi, è al di sotto del 50 per cento. Barroso e Mauro hanno detto che questo capita perché sessant’anni di libertà e di prosperità, senza guerre, sono visti come un fatto scontato e non come il frutto di scelte coraggiose e rischiose, che debbono essere confermate e portate fino in fondo. Barroso, riferendosi ai padri fondatori Adenauer, Schuman, De Gasperi, ha spiegato che, dopo la seconda guerra mondiale, non seguirono una logica di diffidenza ma «diedero retta al loro cuore e spezzarono con coraggio il cerchio dell’odio e della violenza».
Per Mauro, Barroso e Formigoni i paesi europei non avranno futuro al di fuori dell’Unione e l’Unione non sarà veramente tale senza il rispetto degli stati e delle regioni. Una strategia che non tutti perseguono, «perché – è il giudizio di Mauro – molte nazioni, che vorrebbero annichilire l’Europa delle differenze, tendono a guastare di notte la tela che Barroso tesse di giorno». Lo stesso giudizio che dà Formigoni sul tema della sussidiarietà: «Le Carte alle origini dell’unione europea parlano di sussidiarietà ma c’è chi ne dà delle interpretazioni ridotte, considerandola un fenomeno da gestire per proprio conto e al ribasso».
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Per questo il governatore della Lombardia si è rivolto all’«amico Josè Manuel», prima che al presidente della Commissione europea, perché “getti il cuore oltre l’ostacolo» in fatto appunto di sussidiarietà e di federalismo, quello fiscale in primis. Con l’assicurazione che una rete di eccellenza in materia fiscale, fra regioni europee avanzate, farà il bene non solo delle realtà consorziate ma anche delle aree in difficoltà. Per Formigoni occorre costituire subito un osservatorio europeo sulla sussidiarietà sotto la guida diretta di Barroso, con rappresentanti degli stati e delle regioni.
Formigoni ha anche indicato alcuni settori nei quali concretizzare il principio di sussidiarietà, che stanno a cuore al Ppe: la centralità della persona, l’educazione, la conoscenza, la libertà di scelta in materia di sanità, welfare e scuola, la famiglia («che, per noi, è quella composta da un uomo e una donna che si mettono insieme per generare dei figli»). Quanto all’importanza delle Regioni, Formigoni ha fatto notare come il pil della Cina sia decollato grazie alla scelta di Pechino di privilegiare alcune sue grandi aree e che le regioni sono ormai determinanti da un punto di vista economico anche in campo internazionale, visto che i distretti produttivi, i piani di formazione e i progetti di ricerca sono sempre più internazionali.
Anche secondo Barroso le regioni sono indispensabili per sostenere la futura politica europea per una crescita forte (tre milioni di posti di lavoro entro il 2020), sostenibile, inclusiva, che lotti contro la povertà e l’emarginazione sociale. «L’Europa – ha concluso – non può essere imposta dall’alto ma dev’essere rafforzata da ciascuno di voi. Voi, qui a Rimini, potete aiutare a costruire un’Europa più forte, che difenda i suoi valori sulla scena mondiale e costituisca un’opportunità per tutti».
E, a proposito di valori, il punto centrale della questione, secondo Vittadini, Formigoni e Mauro, è quello della libertà religiosa. Mauro, a chi ancora sostiene che si debbano togliere i simboli religiosi dai luoghi pubblici, ha chiesto di andare a spiegare, domani, ai turchi, che dovranno rimuovere la mezzaluna dalla loro bandiera e ad una decina di stati europei che dovrebbero fare altrettanto con la croce. Vittadini, invece, ha messo in guardia da una certa retorica che già si respira in vista dei 150 anni dell’unità d’Italia. «C’è un giro la voglia di affermare certi aspetti dell’unità d’Italia che hanno umiliato la libertà religiosa e la sussidiarietà dal basso. Per noi l’unità d’Italia non è stato un punto di arrivo ma una meta parziale, ancora da compiere in chiave, appunto, di rispetto della libertà religiosa e della libertà della persona».
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