La scorsa settimana l’Istat ha pubblicato i dati sugli occupati e i disoccupati relativi al mese di febbraio. Gli occupati sono aumentati dello 0,1%, sono 19.000 persone in più al lavoro rispetto al mese precedente. Il risultato è dato da un +54.000 lavoratori a tempo indeterminato, +4.000 lavoratori a tempo determinato e -39.000 lavoratori indipendenti. Anche sui piccoli numeri riferiti a una mensilità si vede come stanno agendo le politiche sostenute negli ultimi anni. La decontribuzione introdotta a favore dei giovani con contratti a tempo indeterminato sostiene l’occupazione più stabile e continua ad agire l’effetto “pulizia” nei confronti dei contratti di collaborazione con un ulteriore calo di lavoratori indipendenti che in realtà erano monocommittenza. L’abolizione di fatto dei voucher, per i lavori minori, riporta poi a scomparire dalle statistiche una quota di lavoratori saltuari.
Nel corso del mese cala anche la disoccupazione che arriva al 10,9%. Vi è però da rilevare una crescita di scoraggiati che porta a un aumento degli inattivi, in particolare con riferimento alle lavoratrici. Il confronto con il trimestre precedente indica dati occupazionali in calo con andamenti alterni nella componente maschile e femminile. Complessivamente, su base annua, l’occupazione mantiene una crescita costante, la disoccupazione cala e il tasso di occupazione complessivo aumenta per tutte le classi di età avvicinandosi al 60% complessivo.
Negli stessi giorni è entrato in vigore il più importante strumento di politica attiva introdotto con il Jobs Act, l’assegno di ricollocazione, che può essere richiesto da tutti i disoccupati dopo quattro mesi dalla dichiarazione di disponibilità al lavoro e dall’avvio del contributo di disoccupazione (Naspi). L’assegno, dal valore inversamente proporzionale alle possibilità di trovare lavoro della persona, finanzia servizi al lavoro (dall’orientamento a corsi di formazione e aggiornamento) per facilitare la ricollocazione. La persona sceglierà fra gli operatori accreditati, pubblici e privati, quello a cui decide di rivolgersi per sviluppare un percorso finalizzato a rientrare nel mondo del lavoro.
Pur essendo la misura di politica attiva del lavoro più importante introdotta dalle ultime riforme, l’assegno di ricollocazione ha vissuto turbolenze attuative per cui solo ora è entrato in funzione. Nei mesi, passati, anche a causa dei rinvii determinati dal dibattito fra Regioni e Governo, conseguenza del risultato del referendum costituzionale, è stata fatta solo una sperimentazione limitata, la quale ha visto pochi disoccupati avanzare la richiesta di assegno e fra questi solo il 20% ha trovato nuova collocazione.
Nella fase sperimentale è mancata quasi totalmente l’informazione capillare e le agenzie private non sono state debitamente mobilitate per supportare i servizi pubblici nell’attuazione dei servizi. Con l’entrata in vigore definitiva si sono coinvolti i patronati sindacali per una adeguata campagna informativa che serve da recall verso tutti i disoccupati da almeno quattro mesi. Si ritiene poi che, visto il numero di persone interessate, anche le agenzie private per i servizi al lavoro si organizzino stabilmente per fornire i servizi coperti dall’assegno di ricollocazione.
Due notizie relative al mercato del lavoro che richiamano aspetti positivi. Il trend occupazionale prosegue una crescita costante ormai da oltre 12 mesi e, finalmente, anche nel nostro Paese si avviano politiche attive del lavoro che mettono al centro la presa in carico della persona e del suo bisogno di lavorare e propongono percorsi finalizzati a reintrodurre al lavoro, nei tempi più brevi, coloro che hanno perso l’occupazione precedente. Nonostante ciò, nel dibattito post-elettorale il tema occupazionale e delle garanzie da dare a chi lavora e a chi perde il lavoro pare non tenere in nessun conto quanto è avvenuto e quanto sta avvenendo.
Non si vuole certo sostenere che siamo già nel migliore dei mondi possibili. Anzi, vi è bisogno di fare crescere il lavoro e anche la quota di reddito da lavoro che è stata penalizzata in questi anni. Per fare ciò è indispensabile una politica economica per l’occupazione, la difesa delle imprese italiane e un forte incremento di produttività delle imprese e del sistema Italia nel complesso. Una fase di grande modernizzazione, di disintermediazione della Pa e di forti investimenti. Ciò perché il lavoro lo crea una nuova fase di sviluppo e le nuove politiche attive servono a favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.
Il dibattito ha preso invece una piega opposta. Garante dei servizi al lavoro e della qualità del lavoro si ritiene che possano essere solo i servizi pubblici e le forme di sostegno al reddito vengono proposte slegate dalla necessità di mettere in moto persone e strutture di servizio per assicurare nuove opportunità occupazionali. La rete dei servizi pubblici al lavoro del nostro Paese è, al confronto con quanto esiste altrove in Europa, troppo piccola e caratterizzata da compiti burocratici. Troppo piccola perché ha pochi operatori rispetto al numero di disoccupati di cui dovrebbe farsi carico e perché la formazione di questi operatori è stata sempre finalizzata alla gestione amministrativa dei disoccupati e non a promuovere l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.
In questi anni sono invece cresciute le Agenzie per il lavoro (Apl) private. Oltre a occuparsi in via prevalente della somministrazione di lavoro hanno sviluppato servizi finalizzati a formare figure professionali scarse e per la ricollocazione di personale. Se si vuole favorire celermente la crescita di un sistema diffuso di servizi per la ricollocazione si deve lavorare perché la rete pubblica e la rete privata collaborino alla definizione di un nuovo sistema. Lo schema delle “forze populiste” è invece quello di semplificare i problemi cercando di risolvere il tutto attraverso una nuova centralizzazione statalistica della soluzione. Da qui proviene una campagna contro le Apl come se fossero le colpevoli della nuova precarizzazione per quindi sostenere che solo il pubblico può garantire il rispetto delle norme e dei diritti.
È una delle tante forme con cui si presenta lo scontro ideale di fondo fra una società aperta o una società chiusa. Rabbia e paura del futuro favoriscono coloro che puntano a soluzioni demagogiche per un neostatalismo. Finora anche le divisioni politiche non mettevano in discussione l’opzione comune a favore di una società aperta. Oggi il rischio è che si torni a posizioni anti-mercato e per un’espansione di servizi a carico della spesa pubblica che mette assieme posizioni estreme di destra e di sinistra, ridisegnando i confini delle divisioni politiche. Mantenere lucidità nell’analisi della realtà può aiutare a ragionare fuori da nuove ondate ideologiche che tendono a un ritorno a forme di tutele del lavoro che produrrebbero oggi solo difficoltà a un mercato del lavoro in ripresa.