L’accumulo di provvedimenti urgenti rischia di ingolfare l’attività parlamentare con la possibilità concreta di perdere di vista le priorità necessarie per sostenere lo sviluppo. Ritardi nelle scelte di fondo della economia rischiano di aggrovigliare la situazione con un prevalere dei gufi che porterebbero ad accelerare la deriva elettorale invece di favorire gli interessi del Paese. Il Jobs act rischia così di procedere con tempi più lunghi del previsto e ciò darebbe un segnale negativo sia ai tavoli europei, sia alla spinta per un mercato del lavoro più efficiente, essenziale per una ripresa della domanda interna.
Assistiamo così a un quotidiano attacco ai contenuti della riforma del lavoro con continue convocazioni di scioperi e si disperdono le voci che dovrebbero sostenere questa riforma. Cerchiamo allora di capire chi dovrebbe essere interessato a far sì che il Jobs act proceda in tempi rapidi. Chi ha interessi concreti affinché quanto previsto dalla riforma entri in vigore in fretta perché migliorerebbe la sua condizione materiale.
Con un linguaggio classista che non si sentiva da tempo, molti sindacalisti dicono che è un favore per i padroni. Certo, se ci fermiamo alla visione ideologica dell’articolo 18 si potrebbe ritenere questa una affermazione vera. Ma in questa crisi economica che vede sempre più necessaria una collaborazione fra lavoratori e imprenditori per rilanciare la produttività, gli interessati sono tutti quei settori economici che hanno nel blocco della contrattazione aziendale e territoriale un freno a sviluppare partecipazione, orari e salari che premino la crescita produttiva. Sono sia le imprese di settori legati alla domanda estera, sia quelle che possono rilanciare l’offerta interna sulla base di un calo dei prezzi al consumo. Ma lo sono anche quei territori che vogliono essere più attrattivi per investimenti in settori innovativi. Sono coinvolti quindi anche tutti quegli amministratori che memori della lezione tratta dal libro “La nuova geografia del lavoro” del prof. Moretti sanno che un mercato del lavoro efficiente e mobile è fondamentale per attrarre investimenti.
Interessati a nuovi servizi per il lavoro sono poi tutti coloro che hanno perso il posto o non sono pienamente garantiti dagli ammortizzatori sociali esistenti o non si rassegnano a sopravvivere con la cassa integrazione. Non tutti i lavoratori in Cig o mobilità pensano che il futuro sarà il ritorno al lavoro precedente. Molti sono convinti che la mobilità verso nuova occupazione sia meglio. Ma per questo servono servizi al lavoro diversi da quelli oggi disponibili. Servono accordi per la ricollocazione che vengano avviati assieme alle misure di sostegno al reddito fin dall’apertura di una crisi aziendale, per permettere subito percorsi di formazione e reinserimento lavorativo.
Un’Agenzia nazionale per il lavoro che fissi le procedure cui dovranno attenersi reti di sportelli lavoro pubblici e privati che assicurino percorsi di ricollocazione è indispensabile. Servirebbe anche per applicare realmente la “Garanzia giovani”, che così come usata oggi non riesce a rispondere alla pure generosa adesione che molti giovani hanno dato.
Il Jobs act indica poi nel contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti il perno per facilitare le assunzioni ed estendere a tutti le tutele essenziali. Ciò per correggere un dualismo che vede oggi alcuni lavoratori con piene tutele e altri, con forme contrattuali diverse, averne di minime o nulle. Se la traduzione di questa indicazione generale vorrà misurarsi con le forme che hanno i contratti di lavoro nella realtà e non tornare all’ideologia del contratto per il posto fisso dovranno essere estese le tutele a tutti i rapporti di lavoro, fotografando tutte le realtà possibili. Un modello contrattuale, ma con la possibilità di adattarla alle tante forme che il lavoro ha; contratti di lavoro a termine, contratti part-time verticali od orizzontali, disponibilità al lavoro in sostituzione, lavoro a chiamata, sono tante declinazioni che spesso rispondono a necessità di flessibilità sia della domanda di lavoro per esigenze della produzione, ma anche a esigenze dell’offerta per esigenze personali o famigliari.
Che tutte queste forme di lavoro, sia presso grandi imprese che nelle micro e piccole imprese che caratterizzano il nostro tessuto economico, godano delle stesse tutele è interesse di migliaia di lavoratori oggi inquadrati con sistemi al limite della legalità o spesso fuori da essa. Le forme spurie di cooperative, che in settori pure avanzati come la logistica o i servizi informativi, assicurano migliaia di posti di lavoro con trattamenti simili al vecchio caporalato schiavistico, troverebbero nel nuovo contratto un limite fermo, e in nuovi servizi ispettivi dotati di nuovi poteri un limite. Si potrebbe così disboscare un settore di sfruttamento del lavoro che oggi sfugge a ogni tutela.
È certamente un breve e parziale elenco di chi dovrebbe essere interessato a far sì che il Jobs act sia velocemente approvato e si possa riformare il mercato del lavoro. Non contro i lavoratori, né contro le loro rappresentanze, se queste sono interessate a favorire una migliore mobilità, una flessibilità tutelata e nuovi servizi al lavoro.
Anche in termini numerici, chi ha interessi in gioco che saranno favoriti dalla riforma è certamente più numeroso rispetto a chi si oppone. L’ideologia del posto fisso non tutela le capacità, né le professionalità di molti lavoratori e ingessa il mercato bloccandone le potenzialità. Anche i sindacati guadagnerebbero più adesioni se da frenatori diventassero protagonisti di una nuova fase di partecipazione e responsabilità, per aprire una stagione di cambiamento superando la fase del no e avanzando nuove idee per un lavoro più mobile ma più tutelato.