Il Governo ha approvato, nei giorni scorsi, lo Statuto dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (in breve l’Anpal). Il decreto recante lo Statuto è stato emanato, è opportuno ricordarlo, all’interno del processo d’implementazione del Jobs Act, in attuazione del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 150 avente ad oggetto “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”, che prevede, appunto, l’istituzione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (la legge 183/2014 parla in realtà di Agenzia nazionale per l’occupazione, ma, probabilmente, l’acronimo Ano sarebbe stato poco valido in termini comunicativi).
L’Anpal avrà, quindi, l’arduo compito di coordinare la rete dei servizi per le politiche attive del lavoro, attuando le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali in materia di politiche attive, nonché la specificazione dei livelli essenziali delle prestazioni da erogare su tutto il territorio nazionale, così come saranno stabiliti dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. L’Agenzia, sottoposta alla vigilanza del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, avrà personalità giuridica di diritto pubblico e sarà dotata di autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa, contabile e di bilancio.
Lo Statuto, composto di ben 16 articoli, si pone, quindi, l’obiettivo di individuare i fini istituzionali dell’Ente, declinare le competenze degli organi, definire le modalità procedurali per il loro funzionamento, nonché le procedure di svolgimento degli adempimenti contabili. Lo stesso definisce, ovviamente, gli organi dell’Agenzia, che resteranno in carica tre anni e saranno rinnovabili per una sola volta, ossia il Presidente, il Consiglio di amministrazione, il Consiglio di vigilanza e il Collegio dei revisori.
Un passaggio, quindi, certamente importante per la ridefinizione del sistema italiano delle politiche attive per il lavoro e per avvicinare, finalmente, l’Italia alle migliori pratiche di “flexicurity” come anche l’Europa ci chiede. Definire lo strumento operativo, potremmo dire la cabina di regia, tuttavia non basta. Il Professor Del Conte, già consulente del Premier e designato come primo presidente della nuova Agenzia, sarà, infatti, chiamato ora a disegnare, o ridisegnare, le politiche attive con l’obiettivo di inserire e/o reinserire i tanti, sempre troppi, esclusi dal nostro mercato del lavoro.
La speranza è che, a differenza di molti altri passaggi nel percorso d’implementazione del Jobs Act, il Governo e l’Agenzia non scelgano di fare tutto da soli, ma si mettano in ascolto delle Parti sociali, e degli operatori del settore, guardando anche alle “best practices” che si sono realizzate, in questi anni, sui territori.
Il rischio, infatti, è che, ancora una volta, si rottamino, per la voglia di marcare un presunto “nuovismo”, anche tante buone, e interessanti, esperienze che, seppur in un quadro certamente non edificante, si sono realizzate in questi anni e si disperdano, allo stesso tempo, tante, e preziose, competenze e professionalità.