VITALIZI E PENSIONI. La Presidenza della Camera ha dato al Collegio dei Questori quindici giorni di tempo (più o meno il preavviso che è dovuto a una colf) per formulare una proposta di abolizione, anche con effetto retroattivo, dei “maledetti” vitalizi. I Questori hanno girato la mela avvelenata agli Uffici amministrativi preposti, i quali non sanno che pesci pigliare dal momento che a loro si chiede l’impossibile. A chi scrive questa vicenda ricorda molto – mutatis mutandis – la pagina nera delle leggi per la difesa della razza, nell’ottantesimo anniversario della loro promulgazione. Il solo motivo per privare dei cittadini dei loro diritti era quello di essere ebrei. L’operazione taglia-vitalizi risponde alla medesima logica: i titolari vanno puniti perché nella loro vita hanno rappresentato la nazione (è questa la formula usata dalla Carta Costituzionale) nelle Aule del Parlamento.
Per la prima volta vengono applicate a situazioni trascorse, magari da decenni, norme pensate come operanti a partire dalla loro entrata in vigore in avanti. Vogliamo non farne una questione di diritti acquisiti? D’accordo, limitiamoci a rimanere nel campo della ragionevolezza. Cominciando da una banale constatazione: gli italiani “normali” hanno avuto a che fare con il calcolo contributivo soltanto a partire dal 1996, la grande maggioranza (con un’anzianità pari o superiori a 18 anni) per esserne esclusi, una parte per vederselo applicare pro rata (che poi è diventata la regola generale dall’inizio del 2012), una minoranza (i nuovi assicurati dopo il 31/12/1995) per esservi sottoposti per interamente per tutta la vita lavorativa. Non si capisce perché, invece, il ricalcolo giustiziere dovrebbe essere applicato anche (è un caso che conosco) a una ex parlamentare di 96 anni in regime di vitalizio dal 1972. Comunque riusciranno a girarla, il meccanismo finirà per essere diverso da quello applicato a tutti i lavoratori: se ne dovrà inventare uno apposta, venendo meno proprio a quel principio di uniformità che dovrebbe ispirare il provvedimento.
Come funzionava il meccanismo del vitalizio? Allo stesso modo del trattamento pensionistico riservato agli statali fino al 1996 quando fu istituita una loro Cassa presso l’Inpdap. Le amministrazioni delle Camere applicavano sull’indennità dei parlamentari la ritenuta a loro carico, poi al momento della maturazione della prestazione la erogavano direttamente nella misura prevista dai regolamenti (che nel frattempo hanno eliminato i privilegi più assurdi).
Come si fa, in queste condizioni, a ricostruire un montante contributivo che non esiste perché non serviva a determinare l’importo del vitalizio? Ma mettiamo pure il caso che si possa arrivare ad arabescare, di riffa o di raffa, un montante: per quali coefficienti di trasformazione andrebbe moltiplicato? Per quello corrispondente (pur con una certa approssimazione) all’età in cui l’ex parlamentare ha cominciato a riscuotere il vitalizio o all’età in cui avviene il ricalcolo? Essendo il coefficiente di trasformazione legato all’attesa di vita lascio immaginare quanto grande sarebbe la differenza per la signora di 96 anni se il ricalcolo venisse effettuato sulla base dell’età che aveva nel 1972.
Un ulteriore elemento di confusione – dispiace dirlo, ma è la mia opinione – lo ha introdotto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, durante una trasmissione televisiva. Citiamo tra virgolette: “In aggiunta ai vitalizi c’è un altro tipo di privilegio: gli oneri figurativi. Se un parlamentare era prima un lavoratore dipendente, durante il mandato” alla Camera o al Senato “l’Inps gli deve versare i contributi datoriali: si tratta di circa il 24% della loro retribuzione, che in alcuni casi l’Inps ha versato per 20 o 30 anni”. Innanzitutto, la norma ha una fonte nobile: lo Statuto dei lavoratori. Si vede che nel 1970 c’erano per i parlamentari un rispetto e una considerazione che oggi sono venuti meno.
L’articolo 31 della legge n. 300 (è sufficiente riportare solo i primi commi) recita: “Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali. I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato. La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali. I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 , e successive modifiche e integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l’esonero”.
In sostanza si tratta di contributi figurativi, ovvero “fittizi”, cioè non versati né dal datore di lavoro, né dal lavoratore. Essi hanno lo scopo di tutelare il lavoratore nel caso in cui si sia verificata una temporanea sospensione o la cessazione del rapporto di lavoro: tali eventualità, comportando il venir meno della retribuzione, comporterebbero anche il venir meno del conseguente obbligo assicurativo e quindi della copertura assicurativa a fini pensionistici. Per evitare ciò, il nostro ordinamento prevede che i contributi figurativi vengano accreditati sul conto assicurativo del lavoratore per periodi in cui si è verificata un’interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa, in conseguenza della quale non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro.
Ai fini del calcolo, si prende in considerazione la cosiddetta retribuzione figurativa, ossia la media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di rapporto di lavoro nell’anno solare in cui si collocano eventi da riconoscere o, nell’anno di decorrenza della pensione, nel periodo di decorrenza della pensione stessa. Lo strumento non comporta alcuna spesa per i soggetti del rapporto di lavoro, in quanto il suo onere è a carico dell’Inps.
Questa è la regola generale valevole in tutti i casi in cui la legge dispone una copertura figurativa (cig, maternità, disoccupazione, malattia, servizio militare, ecc.). I parlamentari sono i soli che – se lavoratori dipendenti in aspettativa – sono tenuti a versare nella gestione di provenienza la quota di contribuzione a loro carico. In base all’articolo 38, comma 1, legge 23 dicembre 1999, n. 488 i lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato, eletti membri del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo o di assemblea regionale ovvero nominati a ricoprire funzioni pubbliche, che in ragione dell’elezione o della nomina maturino il diritto a un vitalizio o a un incremento della pensione loro spettante, sono tenuti a corrispondere l’equivalente dei contributi pensionistici, nella misura prevista dalla legislazione vigente, per la quota a carico del lavoratore, relativamente al periodo di aspettativa non retribuita loro concessa per lo svolgimento del mandato elettivo o della funzione pubblica. Il versamento delle relative somme, deve essere effettuato all’amministrazione dell’organo elettivo o di quello di appartenenza in virtù della nomina, che provvederà a riversarle al fondo dell’ente previdenziale di appartenenza. È questa la pura verità.