Il Papa ha riacceso ieri l’attenzione sul problema dei disoccupati e delle persone che rischiano di perdere il posto di lavoro. Benedetto XVI, durante l’Angelus, ha detto: «La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti». «Mi associo pertanto all’appello della Conferenza Episcopale Italiana, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie». Da questo tema comincia la conversazione a tutto campo de ilsussidiario.net con Raffaele Bonanni, Segretario generale della Cisl.
Come commenta le parole pronunciate ieri da Benedetto XVI?
Molte imprese stanno scaricando le loro difficoltà di mercato sulla pelle dei lavoratori, come sta accadendo con Alcoa e Fiat. Spero quindi che l’appello del Papa possa scuotere le coscienze di tutti e stimolare il senso di responsabilità di Governo, opposizione, imprenditori, sindacati, banche, per uscire da questa crisi e rilanciare l’occupazione.
Al prossimo tavolo su Fiat del 5 febbraio si discuteranno le proposte di riconversione dello stabilimento di Termini Imerese. Vuol dire allora che è ormai impossibile far ritornare Fiat sulla sua decisione di chiudere l’impianto siciliano alla fine del 2011?
Questo lo scopriremo solamente in occasione del prossimo incontro, che sarà la prima riunione tecnica per cercare di capire cosa farà lo Stato, cosa farà la Regione Siciliana, ma soprattutto cosa farà Fiat, che non può pensare di uscirsene come se non c’entrasse niente. La responsabilità maggiore di Termini Imerese è infatti sua. Capiamo bene che costruire ancora auto lì è costoso, ma quel sito può essere riconvertito. Auspichiamo quindi che si possano salvare l’occupazione e le professionalità dei lavoratori siciliani.
Ci può dire qualcosa delle sette proposte per il futuro di Termini Imerese di cui ha parlato Scajola?
Non si hanno ancora notizie chiare, anche perché – lo dico per esperienza – quando ci sono situazioni del genere le aziende non si pronunciano prima di fare l’accordo, ma solo alla fine. È chiaro che ci sono molte questioni che dovranno essere sempre verificate (il comportamento di Stato e Regione e le condizioni che porrà Fiat), in modo che chi dovesse acquistare l’impianto possa valutare i vantaggi e gli svantaggi di tale operazione. Il nostro interesse comunque è che a Termini Imerese rimangano anche impianti e macchinari e non solo uno stabilimento “vuoto”.
Riguardo alla decisione di Fiat di mettere in cassa integrazione 30.000 dipendenti per due settimane, lei aveva detto che “qualcuno potrebbe definirlo un ricatto”. Di fronte a un ricatto di solito si cede o si tiene una linea dura. In questo caso cosa occorre fare?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Bisogna fare ciò che detta il buon senso. In passato Fiat ha avuto un generoso contributo dall’erario e, data l’importanza del settore auto, penso che gli sarà dato ancora un aiuto. I cittadini che danno i loro soldi a una realtà privata, attraverso i loro contributi che finanziano gli incentivi, devono avere la certezza che questi servano a qualcosa. Non poggia certamente sul buon senso il fatto che il denaro pubblico venga dato a un’azienda che licenzia lavoratori e rimuove un intero sito. Mentre è assolutamente ragionevole da parte nostra sostenere che se vengono mantenuti i posti di lavoro, allora i contribuenti, pur in tempi di crisi, possono essere disposti a rinunciare a qualcosa di loro per salvare molti posti di lavoro. Dare soldi senza neanche salvare posti di lavoro mi pare davvero una cosa irragionevole, oltre che provocatoria.
La decisione di Fiat tra l’altro è arrivata poco dopo l’annuncio del ritorno al dividendo per gli azionisti, nonostante un 2009 chiuso in perdita…
Questo ci è molto dispiaciuto: mentre si annunciava il dividendo agli azionisti, si è detto a 30.000 lavoratori che dovranno fare due settimane di cassa integrazione. E di questo nessuno era al corrente. Non ci era stato detto nulla nella riunione fatta prima di Natale. Inoltre pochi giorni dopo ci saremmo trovati per un nuovo incontro. Per questo eravamo molto nervosi e irritati. Dopo l’incontro di venerdì, credo che Fiat abbia però capito che non può permettersi uscite troppo disinvolte come quella di settimana scorsa.
Venerdì è stato deciso qualcosa riguardo al rinnovo degli incentivi?
Si è stabilito di attendere un summit che si terrà a Saragozza tra i paesi europei, perché gli incentivi sono più efficaci se è l’Europa che li propone. Del resto tutte le case automobilistiche vendono nel proprio paese e anche all’estero. In Italia, per esempio, Fiat copre meno della metà del mercato, quindi gli incentivi italiani andrebbero ad aiutare anche altri produttori stranieri. Mentre se la misura venisse adottata a livello europeo, Fiat riuscirebbe a usufruire dei vantaggi di incentivi in altri mercati.
Non trova che un provvedimento come quello sugli incentivi sia un po’ anacronistico, o comunque “statalista”?
Sì, ma il settore dell’auto è particolare e coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori sia direttamente che attraverso l’indotto. Il Governo, su nostra richiesta, prenderà anche in considerazione qualche incentivo per il settore degli elettrodomestici, poiché i nostri produttori (come Merloni) versano in difficoltà e vi sono decine di migliaia di lavoratori a rischio in Italia.
Venerdì si è parlato anche del prossimo piano industriale di Fiat da 8 miliardi di euro?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Fiat ha annunciato un investimento importante, che comprende il ritorno in Italia della produzione della Panda. Ci sarà uno sviluppo per Pomigliano d’Arco, Torino e Frosinone e per noi questo è molto importante. Ma agli annunci dovranno poi seguire dei fatti. Si tratta quindi di una discussione molto delicata e allo stesso tempo importante.
In questo piano quale sarà il contributo economico dello Stato?
Se Fiat farà un investimento di tale entità, credo che sia anche ragionevole un intervento dello Stato, perché il volume di investimenti alla fine avrà ricadute positive. Quindi val bene un intervento statale, perché i rientri e i benefici occupazionali e generali di sviluppo sono tali da poterci permettere un meccanismo virtuoso che rafforza e sollecita la nostra economia.
A proposito di intervento dello Stato per Fiat, esponenti della Fiom e della sinistra radicale ne chiedono la nazionalizzazione. Che ne pensa?
Neanche in Sud America si fanno più cose del genere. La storia ci dimostra, attraverso i fallimenti della nazionalizzazioni, che questa strada non ci porterebbe ad avere un ruolo importante nel mercato dell’auto. Mi piacerebbe potessere essere così, ma la realtà è diversa. Mi meraviglio che taluni facciano ancora questi discorsi e che ci siano ancora indicazioni e proposte così demagogiche e populiste. Il problema vero è che un’impresa deve riuscire a conciliare le esigenze del mercato con l’interesse pubblico.
Fiat, specie dopo l’acquisizione di Chrysler, è un soggetto sempre più globale. Per quanto ancora si potrà permettere di produrre auto in Italia?
Penso che questo sia un modo sbagliato di porre il problema. Occorre partire dal presupposto che la Fiat di due anni fa non sarebbe potuta esistere né oggi né domani, perché troppo piccola e incapace di reggere il confronto sui mercati. Le case automobilistiche che resteranno in vita saranno quelle che saranno riuscite a fare alleanze fortissime, integrazioni capaci di creare economie di scala, ma anche di rafforzare e allargare la propria rete commerciale, così da far diventare competitivo il proprio prodotto. Quindi c’è da chiedersi cosa sarebbe stato di Fiat se fosse rimasta quella che era prima. Per questo ho sempre applaudito alle alleanze. Certo, ci sono rischi che bisogna correre, ma quello principale lo abbiamo superato, perché Fiat era destinata a una brutta sorte.
All’inizio lei ha citato l’Alcoa. Qual è la situazione di questa vertenza?
Mi pare che ci sia una forzatura da parte dell’azienda, perché c’erano problemi di fornitura di energia e il Governo si era già impegnato per dimezzarne il costo. Non capisco dunque perché Alcoa insista ancora con le minacce di chiusura dello stabilimento di Portovesme.
Il problema della disoccupazione comunque resta forte. Nonostante il Governo preveda una crescita del Pil dell’1,1% nel 2010, i dati dell’Istat parlano di un 8,5% di disoccupati a dicembre e quelli di Cgil e Confindustria di un record di cassaintegrati…
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Il record di cassaintegrati era inevitabile, perché siamo in un momento di forte crisi. Meglio comunque questo primato che quello di disoccupati, che hanno altri paesi europei. Spero in ogni caso che l’Italia, come gli altri stati, possa uscire rapidamente da questa situazione per riassorbire disoccupati e cassaintegrati.
Alla fine del 2009 la Cisl, come gli altri sindacati, ha parlato del 2010 come l’anno della possibile riforma degli ammortizzatori sociali. Cosa chiederete?
Non vorrei che le riforme le chiedessero i "professori" senza alcuna attinenza con la realtà. Non vorrei nemmeno che si desse ascolto a chi preferiva avere più disoccupati per fare più manifestazioni. Se in Italia abbiamo un punto percentuale in meno di disoccupati rispetto alla Francia, vuol dire che la nostra politica sugli ammortizzatori sociali ha funzionato. Bisogna quindi rafforzare gli interventi, partendo però dall’esperienza del 2009. Gli ammortizzatori sociali in deroga sono stati estesi a chi non li aveva e questo è già un incipit di riforma. Occorre poi raddoppiare i tempi della cassa integrazione ordinaria, sviluppando al contempo i contratti di solidarietà.
La settimana scorsa, dal congresso Confsal lei ha rilanciato la proposta di una riforma fiscale da parte della Cisl. Quali saranno le misure concrete che indicherete?
Chiederemo la riduzione delle aliquote, in modo che quelle basse e medie siano ancora più assottigliate. Vogliamo inoltre che le famiglie abbiano un aiuto fortissimo, specie quelle monoreddito e con persone inabili a carico. Le famiglie devono avere sostegno in modo da contrastare la bassa demografia, la scarsa attitudine a sostenere gli inabili, gli svantaggi fortissimi di cui soffrono le mamme lavoratrici, sempre in bilico nello scegliere se restare a casa a curare i figli o lavorare con carichi che richiedono attività a casa oltre che in ufficio.
Queste proposte per le famiglie somigliano molto al quoziente famigliare…
Sì, anche se si tratta di una cosa diversa. Ancora non ho preso posizione sul quoziente famigliare, perché presumo che comporti problemi di copertura finanziaria. Inoltre, se i vantaggi di una sua applicazione appaiono chiari per famiglie a basso e medio reddito, non lo sono per quelle ad alto reddito.
Il governo, proprio all’inizio dell’anno, ha dovuto fare retromarcia sulla riduzione delle tasse. Non pensa che la vostra proposta possa essere ostacolata da problemi di copertura finanziaria?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Chiederemo che le mancate entrate per l’erario vadano a ricercarsi nei consumi, perché lì si può ricostruire una progressività che per ora vale solamente per lavoratori e pensionati che hanno la ritenuta fiscale alla fonte. Mi spiego: chi ha di più spende di più, mentre chi ha di meno spende di meno. Quindi nei consumi è più facile costruire una progressività fiscale, anche per chi non ha una ritenuta alla fonte. Per questo vorremmo che una misura consistente delle tasse venisse spostata sui consumi.
Inoltre, sono molto contento che Tremonti nelle sue dichiarazioni pubbliche abbia tenuto una posizione pressoché identica alla nostra, che ha come obiettivo una riforma fiscale che metta finalmente fine alle attuali sperequazioni, inefficienze e ingiustizie. Infine abbiamo in mente strumenti per contrastare più efficacemente l’evasione fiscale.
Di che cosa si tratta?
Va potenziata la tracciabilità dei pagamenti per controllare cosa fa ogni singolo contribuente, soprattutto chi non ha ritenuta alla fonte e può quindi dichiarare qualunque cifra, salvo poi scoprire che magari spende con il proprio bancomat, carta di credito o conto corrente somme fino a dieci volte superiori al reddito dichiarato. Serve inoltre lo strumento del contrasto di interessi, in modo che ogni cittadino diventi una sorta di operatore dello Stato, con indubbi vantaggi: per esempio, quando va dal dentista si fa fare la fattura e la scarica. Ci guadagna lo Stato, ci guadagna il cittadino e anche l’equità e la giustizia fiscale, perché così si va a erodere l’area di grande evasione che porta, purtroppo, il nostro paese ad avere fino a 150 miliardi di euro evasi all’anno.
Ritiene che il federalismo fiscale possa essere comunque un primo passo per un uso più corretto ed efficiente delle risorse raccolte dall’erario?
La Cisl da molti anni si è detta favorevole al federalismo fiscale, perché avvicina il contribuente all’amministratore che deve gestire le risorse e trasformarle in servizi, creando più trasparenza nella politica. Il federalismo fiscale permette anche di rafforzare la lotta all’evasione, perché in una realtà più ristretta rispetto a quella nazionale è più facile perseguire gli evasori. Detto questo, però, da mesi sosteniamo che il federalismo fiscale senza un riequilibrio di pesi, come quello che proponiamo, tra chi ha la ritenuta fiscale da fonte e chi no, vorrebbe dire, per citare il Gattopardo, cambiare tutto per non cambiare nulla.
Per promuovere la riforma fiscale, la Cisl terrà iniziative in tutta Italia il 27 febbraio. Esattamente cosa farete?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Raccoglieremo firme, parleremo con la gente, perché il nostro obiettivo sarà convincere tutte le persone della bontà della nostra iniziativa. È davvero venuto il tempo di fare una riforma integrale del fisco e per questo cercheremo di allearci con più soggetti possibili, in modo da arrivare a quella che io definisco la riforma istituzionale per eccellenza. Tutti parlano di riforme istituzionali, ma si tratta di cose che riguardano solo il ceto politico. Questa invece riguarda il cittadino, il suo rapporto con lo Stato e la bontà della politica stessa, che deve saper amministrare i proventi che arrivano dai cittadini che consegnano le loro tasse e vogliono servizi efficienti. Questa è la politica. Oggi invece se ne è smarrito il senso: sembra ormai una cittadella avulsa dalla realtà comunitaria, che vive solo dei propri riti, ormai incomprensibili ai più.
Sarete l’unico sindacato impegnato per questa riforma?
La Uil, oltre a tanti altri sindacati, è d’accordo con noi. Ma abbiamo punti in comune anche con Confindustria, artigiani e commercianti. Esiste un fronte molto ampio e lo dimostra quanto avvenuto a metà dicembre al teatro Capranica di Roma, quando per la prima volta sindacati come Cisl e Uil, insieme a tutte le associazioni imprenditoriali, con il ministro Tremonti e il vicepresidente del Pd Enrico Letta, si sono incontrati per costruire non una "riformicchia", ma l’intera riforma del fisco.
Il fisco è uno temi al centro dello sciopero generale proclamata dalla Cgil per il 12 marzo, in piena campagna elettorale. Al di là della scelta della data, condivide il merito di questa agitazione?
Va detto innanzitutto che è la prima volta nella storia della Repubblica che un sindacato proclama uno sciopero durante una campagna elettorale. Esiste, infatti, una convenzione non scritta, dettata dal buon senso e dalla responsabilità, che ha sempre portato a scelte di tutt’altro segno. Questa è dunque un’anomalia molto grave, che segnala la volontà non di ricercare soluzioni, ma di intervenire a gamba tesa in campagna elettorale per motivi politici, tant’è che avremo un ennesimo sciopero cui parteciperanno esponenti dell’opposizione. Non sarà comunque uno sciopero generale.
In che senso?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Non sarà uno sciopero generale, ma particolare, perché non vi parteciperamno tutti: la Cgil è infatti una realtà minoritaria nel panorama sindacale italiano. Riprova del fatto che si cercano solo contrasti politici è il fatto che su una materia importante come la riforma fiscale si convochi uno sciopero, peraltro l’ottavo in poco tempo, in un periodo di crisi, abbaiando alla luna e facendo spendere inutilmente soldi a chi vi partecipa. Rispetto chi vi sarà in piazza, ma va ricordato che c’è poco da scialare di questi tempi.
A proposito di campagna elettorale, con quali criteri la Cisl sceglierà quali candidati sostenere?
La Cisl non sceglierà candidati da sostenere. Le scelte politiche non sono materia gestibile dalla Cisl: giustamente riguardano le decisioni della singola persona, iscritta o meno al sindacato. Non cambieremo tale linea nemmeno in questa occasione, anzi saremo più rigorosi, perché abbiamo bisogno di tutti per portare avanti le istanze delle persone più deboli, degli ultimi. Se portassimo questi soggetti all’interno di un contenzioso politico ne risenterebbe solamente l’interesse delle persone che rappresentiamo.
(Lorenzo Torrisi)