Un recente studio europeo ci dice che un numero sempre crescente di abitanti del nostro Vecchio continente sta lavorando part-time. Questo potrebbe essere un dato certamente positivo se significasse che le persone possono scegliere più liberamente come bilanciare il lavoro e le altre attività (in primis la famiglia) e tra reddito e tempo libero. Sarebbe, inoltre, un elemento da valutare positivamente se portasse opportunità di lavoro per persone che sono state, tradizionalmente, escluse dal mercato del lavoro: come le (giovani) madri, i lavoratori più anziani e gli studenti.
Purtroppo il ricorso al “part-time ha anche un rovescio della medaglia. Spesso, infatti, è involontario o l’unica opzione disponibile a causa della difficoltà di conciliare, e/o armonizzare, un lavoro “standard” con le proprie responsabilità familiari. I posti di lavoro a tempo parziale sono, inoltre, caratterizzati spesso per qualità e retribuzioni orarie inferiori e ciò, nel lungo periodo, incide negativamente sulla futura(?) pensione.
Guardando alle dinamiche europee emerge come questo fenomeno abbia forti connotazioni al femminile. Nel 2015, in media, in Europa, solo l’8,9% degli uomini ha lavorato a tempo parziale contro il ben 32,1% delle donne. Si osserva anche una chiara divisione est-ovest: nei paesi dell’Europa centrale e orientale il part-time rimane, infatti, un fenomeno marginale, anche tra le donne.
Gran parte dell’evoluzione di questo fenomeno, si deve sottolineare, è, ahimè, dovuta al part-time “involontario”, aumentato di un terzo sia tra gli uomini e le donne. Un dato, questo, particolarmente elevato nei paesi del Sud dell’Europa, dove è cresciuto in modo significativo durante la crisi (passando in Grecia dal 45,8% al 72,9%, a Cipro dal 31,2% al 69,4%, in Italia dal 39,4% al 65,5%, in Spagna dal 33,6% al 63,7%). Lo stesso Ministero nell’ultimo rapporto sulle tendenze del nostro mercato del lavoro sottolinea come l’incidenza del lavoro a tempo parziale sull’occupazione totale abbia raggiunto il 18,8%.
In questo contesto è stato approvato il decreto del cosiddetto “part-time agevolato”, una misura sperimentale prevista dalla Legge di stabilità 2016. In pratica, si consentirà al lavoratore, con almeno 20 anni di contributi e che maturerà il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018, di concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell’orario tra il 40% e il 60%, e di ricevere mensilmente l’importo corrispondente ai contributi previdenziali e alla contribuzione figurativa.
La #svoltabuona, tuttavia, non arriverà con questi misure “spot”, ma solo con l’elaborazione di un serio accordo tra le generazioni che metta al centro il futuro del nostro lavoro e la sostenibilità del nostro sistema previdenziale. Una sfida che, certamente, non potrà impegnare la politica e le parti sociali solamente “part-time”.