Il Libro Bianco sul futuro del modello sociale che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato nel maggio 2009 ha posto le fondamenta di un edificio che si è completato con il perfezionamento dei Piani programmatici dedicati ai giovani, alle donne e all’integrazione, fino a concludersi lo scorso luglio con il Piano triennale per il lavoro, Liberare il lavoro per liberare i lavori.
Questo nuovo documento va letto alla luce del motto “meno Stato, più società” più volte ribadito dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi in recenti articoli, interviste e convegni pubblici. Il Piano triennale del lavoro si organizza in sei sezioni accomunate dalla volontà di “liberazione” dagli ostacoli al lavoro buono e di qualità, a loro volta ordinate secondo due direzioni: una prima parte dedicata alle azioni compiute nella crisi, una seconda che individua le priorità nella ripresa.
La prima sezione è dedicata alla liberazione dall’oppressione fiscale, burocratica e formalistica, contro la quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è preoccupato di promuovere una fiscalità di vantaggio per tutti gli accordi aziendali di produttività (ci si riferisce alla recente detassazione del 10%, confermata da una circolare dell’Agenzia delle entrate di agosto). La seconda parte si occupa della liberazione dal conflitto collettivo e individuale, generatore di insicurezza per i soggetti che operano su un mercato sempre più veloce e globalizzato.
A questo proposito, nelle pagine del Piano si ribadisce che sono la conciliazione e l’arbitrato, che responsabilizzano le parti coinvolte, le possibili vie per smaltire l’abnorme contenzioso tipicamente italiano (sono circa 500.000 le cause sospese). Un terzo capitolo è intitolato “liberare il lavoro dall’insicurezza” e rilancia la funzione degli enti bilaterali nel controllo sociale dei mercati del lavoro particolarmente frammentati e deboli, esposti alla pericolosa azione di intermediari illegali che i soggetti pubblici possono contrastare ancor più efficacemente con il coinvolgimento degli operatori del settore.
La quarta parte (la prima di quelle che si concentrano sulle priorità nella ripresa) affronta il nodo dell’illegalità e del pericolo. Si fa qui rinvio agli enti bilaterali per il sostegno al reddito e agli accordi aziendali per lo sviluppo di un welfare integrativo (si stanno sempre più diffondendo anche nel nostro Paese gli accordi per rafforzare la sanità complementare o la previdenza integrativa).
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Nevralgica nel ragionamento del documento è l’intenzione di liberazione dal “centralismo regolatorio” contenuta nella sezione seguente. Si tratta in questa parte del futuro disegno di legge delega contenente lo “Statuto dei lavori” (di cui si discute da più di un decennio), che ipotizza la possibilità di derogare la parte dell’attuale “Statuto dei lavoratori” non inerente i diritti fondamentali universalmente garantiti. Le tutele a disposizione della contrattazione potranno essere modernamente modulate e adattate dalle parti alle concrete condizioni delle aziende e dei territori.
Si tratta della cristallizzazione teorica del caso “Pomigliano”: l’azienda per realizzare un importante investimento nel Mezzogiorno non si rivolge innanzitutto all’interlocutore pubblico esigendo sovvenzioni, ma cerca l’incentivo nella comunità dei lavoratori, anche in deroga al contratto collettivo. Da ultimo, il Piano tratta il discusso tema della “incompetenza”, intesa come risultato della inadeguatezza del sistema di formazione italiano e dei percorsi di transizione e raccordo tra scuola, università e mercato del lavoro.
È evidente il disallineamento attuale tra la domanda e l’offerta di lavoro, ma ciononostante sono ancora carenti le azioni volte ad avvicinare le competenze richieste a quelle offerte, così come sono ancora episodi isolati strutturate azioni di orientamento formativo. Determinante è la disponibilità di professionalità corrispondenti ai nuovi processi produttivi, così come un moderno sistema di relazioni di lavoro in grado di indirizzare le sempre più frequenti transizioni occupazionali, individuare gli strumenti più efficaci per contrastare queste debolezze (contratto di apprendistato) e superare la sfiducia culturale nella capacità educativa del lavoro e, quindi, dell’impresa.
Il Piano triennale intende promuovere occupazione aggiuntiva incoraggiando l’attitudine delle imprese ad assumere e scommettendo sulla capacità dell’imprenditoria italiana di cogliere ogni opportunità, anche nel contesto incerto della crisi economica. Per utilizzare un’altra espressione ricorrente tra le parole dell’attuale Ministro, si tratta di scegliere una “concezione antropologica positiva”, che antepone al pregiudizio sulle attività di imprenditori e lavoratori l’osservazione che é il desiderio dell’uomo la prima molla dell’azione economica e sociale.