Il cuneo fiscale torna al centro dell’attenzione dei partiti, dopo che la Legge di stabilità del Governo Monti è stata attaccata su tutti i fronti e da tutti i partiti della “strana maggioranza”. L’aumento del numero di ore lavorate per gli insegnanti? Fuori discussione, nonostante l’aumento di quindici giorni di ferie. Al Partito democratico non va infatti bene perché intacca direttamente una sua parte dell’elettorato. L’aumento dell’Iva? È fuori discussione anch’esso, perché il Popolo della libertà è contrario all’aumento della pressione fiscale in questa fase pre-elettorale. E la riduzione dell’Irpef? Si, ma con la riduzione delle deduzioni e detrazioni in realtà l’effetto di riduzione fiscale è praticamente nullo.
In questo modo la manovra rimane bloccata e i giorni per l’approvazione si riducono. Intanto i 12 miliardi di euro sono da trovare da qualche parte, dato che il Governo Monti non transige sul patto di stabilità. In realtà la manovra aggiuntiva è dovuta a un appesantimento della recessione aggravata dal continuo aumento della pressione fiscale. La soluzione non sarebbe impossibile da trovare, nei meandri di 800 miliardi di euro di spesa pubblica annuale. Ma non è facile, tanto più in piena campagna elettorale con i movimenti populistici sempre più forti.
Si discute quindi in Parlamento di abbassare il cuneo fiscale. In Italia è uno dei maggiori a livello europeo, visto sia il livello elevatissimo della tassazione che le eccessive ritenute pensionistiche. Bisogna infatti ricordare che nonostante la “riforma Fornero” l’Italia rimane il Paese che spende di più per il proprio sistema pensionistico, vale a dire oltre il 15% del Pil. Nessun Paese ha un livello così elevato e questo si traduce in una maggiore differenza tra stipendio lordo e stipendio netto, visto il livello elevatissimo dei contributi.
Se il peso della pressione fiscale è ormai superiore al 58% reale del Prodotto interno lordo, tenendo in considerazione che il Pil include anche l’economia in nero, si comprende anche che è davvero necessario agire per ridurla. Ma perché la riduzione del cuneo fiscale è una soluzione politicamente più accettabile rispetto a quella proposta dal Governo?
La riduzione di un punto del cuneo fiscale equivale a poco più di due miliardi di euro e dunque molto meno dell’effetto della riduzione dell’aliquota Irpef che vedeva un effetto di riduzione più che doppio, che verrebbe eliminata. Tuttavia la riduzione del cuneo fiscale avrebbe il vantaggio politico di far dire ai partiti che si sta andando in direzione di una diminuzione della tassazione del lavoro e al contempo potrebbero esserci maggiori risorse per eliminare la franchigia delle deduzioni e detrazioni che valevano oltre un miliardo di euro. Ci sarebbe inoltre un altro miliardo di euro da utilizzare per eliminare altri tagli, quali ad esempio quello della scuola. Una soluzione accettabile?
È giusta l’idea di riduzione di un punto del cuneo fiscale, ma è al contempo troppo poco. Bisogna inoltre considerare che l’aumento dell’Iva da solo sterilizza l’effetto di riduzione del cuneo e che nel complesso con questa manovra vi è un incremento della pressione fiscale (come evidenziato su queste pagine da Ugo Arrigo).
È una soluzione accettabile per la politica, ma molto meno per il contribuente che è arrivato ormai a un livello di tassazione che è più elevato di quello svedese, senza tuttavia avere gli stessi servizi.