Ricorre domani il ventesimo anniversario (31 maggio 1996) della morte di Luciano Lama, figura storica del movimento sindacale italiano. In una celebre intervista pubblicata il 24 gennaio 1978 su La Repubblica, l’ex Segretario della Cgil diceva a Eugenio Scalfari: “Se vogliamo esser coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea; non possiamo più obbligare le aziende a trattenere alle loro dipendenze un numero di lavoratori che esorbita le loro possibilità produttive”. Venti anni dopo, tra le priorità del sindacato italiano resta quella di contribuire alla creazione di lavoro attraverso, soprattutto, la comprensione della capacità (nel senso di possibilità) di produrre delle imprese.
Venendo a situazioni concrete, le parole di Vincenzo Boccia, neo Presidente di Confindustria, sono state ampiamente commentate. Al di là di quello che ha detto in merito alle politiche salariali (“consideriamo da sempre lo scambio salario/produttività una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio. Infatti, con i profitti al minimo storico, lo scambio salario/produttività è l’unico praticabile”), ha aggiunto che gli industriali hanno accettato contro la loro volontà la decisione delle organizzazioni sindacali “di arrestare il processo di decentramento della contrattazione, moderno e ordinato come sta accadendo in Europa, per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro delle vecchie regole, lasciando così ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire elementi di innovazione”.
Ora, posto che sul processo di decentramento della contrattazione si dovrebbe realmente investire sulla preparazione degli attori, si tenga presente che questa posizione per gli industriali è l’unica che può crescere il valore dei salari. Succede, tuttavia, che da diversi mesi si registri un deciso fermo nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici, e tutti sanno quanto questo settore sia rappresentativo per l’intero sistema industriale, sia per le dimensioni (1,6 milioni di addetti), sia altre ragioni più volte richiamate su queste pagine. Federmeccanica e i sindacati sono divisi dal fatto che, a livello nazionale, la parte datoriale non è disposta a concedere aumenti salariali, se non (secondo la parte sindacale) a un 5% dei lavoratori. Per questo c’è stato lo sciopero generale del 20 aprile indetto da Fim, Fiom e Uilm e lo sciopero degli straordinari di sabato indetto dalle medesime organizzazioni che comunicano un’alta adesione, in numerosissime aziende superiore al 95%.
Lo scontro tuttavia non sembra limitato al settore, la realtà è che Confindustria – che in questo frangente è al fianco di Federmeccanica – non è appunto disposta a cedere aumenti salariali se non attraverso la contrattazione di secondo livello. La situazione tra i meccanici è parecchio ingarbugliata, perché da mesi la battaglia del sindacato è ferma a richieste salariali per il primo livello e di questo bisognerà rendere conto, per di più dopo gli scioperi.
Ora, considerando che Confindustria vorrebbe anche arrivare a costruire delle politiche salariali che permettano di premiare chi lavora meglio e di distinguerlo da chi invece non contribuisce allo sviluppo dell’azienda – in modo da legare merito, produttività, risultati aziendali e remunerazione – come si uscirà da questa situazione?
Pare difficile che Fim, Fiom e Uilm ne escano da sole senza il supporto delle loro confederazioni e, a parere di chi scrive, questo è il punto di incontro: i prossimi anni non saranno segnati da inflazione galoppante, per cui i sindacati potrebbero rinunciare ad aumenti da ccnl ma riuscire a strappare condizioni più vantaggiose per la produttività aziendale; in secondo luogo, i risultati di efficienza, performance, produttività e competitività aziendale potrebbero essere divisi in due parti, una per tutti i lavoratori e una che premia la professionalità della persona, come già Marchionne e i sindacati hanno scelto per Fca. Sul metodo, come già scritto, sarebbe utile valorizzare la derogabilità assistita: ciò potrebbe facilitare il decentramento e la formazioni degli attori.
Ciò comporta qualche rischio; ma per tutti, a cominciare da Confindustria. Sono state proprio le imprese, a oggi, a essere le meno partecipi dello spostamento del baricentro contrattuale e a volere risolvere la questione salariale col contratto nazionale. Tuttavia, oggi il sistema – se non in qualche settore ove per storia e contingenze si riesce ancora a distribuire ricchezza anche dal livello nazionale – pare proprio giunto a un punto di svolta la cui esigenza è ampiamente diffusa. Ma non c’è cambiamento senza una ridefinizione di equilibri, prassi e visioni consolidate. Un grande statista del secolo scorso diceva che “non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.
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