Il Forum della Meritocrazia approda a Genova. Domani alle 16.30 nella prefettura del capoluogo ligure si terrà l’incontro “Meritocrazia e talenti”. Parteciperanno Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, Marco Doria, sindaco di Genova, e Giacomo De Ferrari, rettore dell’Università di Genova. Interverranno inoltre cinque professionisti che sono riusciti ad affermarsi grazie al loro talento in un contesto non sempre facile come quello genovese. Ilsussidiario.net, media partner dell’evento, ha intervistato Mirko Odepemko, cittadino del capoluogo ligure e socio fondatore del Forum della Meritocrazia.
Odepemko, che cos’è e di che cosa si occupa la vostra associazione?
Il Forum della Meritocrazia è nato un anno fa a Milano da 16 soci fondatori. Ne fanno parte diversi giovani sotto i 45 anni, insieme ai quali vogliamo fare risaltare il talento e il merito nel sistema Italia, affiancandovi anche la parola etica. Abbiamo organizzato diverse tavole rotonde, convention e appuntamenti, cercando di parlare di questi temi nei vari settori e fornendo esempi di giovani talentuosi e meritocratici. Il principale nemico contro cui ci battiamo è il nepotismo. Negli Stati Uniti e in altri Paesi si è segnalati, in Italia invece si è spinti.
Dove sta la differenza?
La segnalazione è lecita, in quanto comporta un’etica sia del segnalatore sia di colui che è stato segnalato, mentre la “spintarella” consiste nell’attaccarsi a qualcuno per raggiungere un tornaconto. Anche per questo motivo condivido senza riserve quanto affermato sabato dall’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, che nella sua omelia a San Lorenzo ha sottolineato che il talento non ha senso se non è associato al valore. Tutto ciò in questo momento storico ha un’importanza primaria, in quanto talento ed etica non possono essere dissociati dai valori. Oggi il Forum della Meritocrazia fa il suo esordio a Genova.
Ci vuole presentare l’incontro?
Quattordici associazioni locali ci hanno coadiuvato a organizzare l’evento, che ha raccolto il sostegno delle istituzioni e di società private. Abbiamo individuato cinque persone meritocratiche e dotate di talento, per quanto non più giovanissime, che hanno svolto il loro percorso professionale a Genova. Ci racconteranno come hanno potuto crescere in un contesto difficile come quello del capoluogo ligure.
In che senso si tratta di un contesto difficile?
Genova è stata esclusa dall’alta velocità ferroviaria, il suo porto non è più quello di un tempo, ed è caratterizzata da un immobilismo generazionale preoccupante. Le compagnie private stanno scappando da Genova, sono state costrette a chiudere o nel migliore dei casi si sono ridimensionate.
Che cosa si può fare per incrementare la meritocrazia in Italia?
In primo luogo occorre considerare, sia nel pubblico sia nel privato, che le posizioni devono essere ricoperte da persone che lo meritino e che abbiano le caratteristiche adeguate per ricoprire quel ruolo. Oggi la maggior parte delle cariche nelle società miste pubbliche/private sono ricoperte più secondo criteri politici che meritocratici. Ci sono polemiche ormai da anni sui curricula dei direttori generali delle Asl che dovrebbero essere a disposizione di tutti sui rispettivi siti web. Poter avere una base più scientifica per la selezione del personale sarebbe già un bel passo avanti.
Lei ritiene che nelle imprese private italiane sia necessario lavorare di più?
No, la meritocrazia è lavorare quanto è necessario per raggiungere i risultati richiesti. La multinazionale dalla quale sono stato assunto tre anni fa per esempio ama il confronto con i suoi funzionari, manager e impiegati, ed evita di porsi degli obiettivi irraggiungibili. Sono sempre scopi calcolati, razionalizzati e soprattutto confrontati con le sue forze lavoro. Ci sono giorni in cui magari si lavora per 12 ore, ma questo non significa essere talentuosi e meritocratici.
E quindi in che cosa consiste il vero merito?
Nel desiderare il raggiungimento degli scopi dell’azienda che si rappresenta. Il talento passa anche dal fatto di lavorare magari soltanto per sei ore, ma di riuscire comunque a ottenere i risultati che l’azienda chiede. Chi lavora di più non è quindi automaticamente più meritevole, la vera questione è piuttosto il fatto di sentire l’appartenenza alla propria azienda. Ed è la stessa società a dovere trasmettere questa consapevolezza al proprio impiegato o alla propria forza lavoro.
(Pietro Vernizzi)