Il Paese sta sottovalutando la gravità dell’attuale momento. L’opinione pubblica rimane, quasi in apnea, in attesa di vedere come si concluderà quest’avventura e quale sarà la composizione del governo giallo-verde. Ovviamente, una coalizione che complessivamente ha ottenuto 17 milioni di voti il 4 marzo può vantare tanti sostenitori che esprimono – spesso in termini incivili sulla rete – lodi al nuovo che avanza e ai cambiamenti che si annunciano, dopo aver infilzato i mostri del rigore che hanno tiranneggiato per anni. L’opposizione è sbigottita. Il Pd non è in grado di decidere nulla e non riesce neppure a contestare un contratto “paradossale”, perché – tutto sommato – nella campagna elettorale l’agenda l’hanno dettata le forze che hanno ottenuto i migliori risultati nelle urne. Ve lo immaginate Cesare Damiano a contestare Quota 100, quando è stato lui a inventarla?
È diffusa la convinzione (sarebbe meglio dire la speranza) che in fondo questi ragazzotti prima o poi faranno i conti con la realtà e che il “contratto” sia – tutto sommato – il proseguimento del battage elettorale. Immagino che anche i cittadini di religione ebraica sottovalutassero il pericolo incombente quando cominciava a circolare la possibilità – come poi avvenne nel 1938 – che anche in Italia fossero varate delle leggi sulla tutela della razza. Speravano allora che da noi anche l’antisemitismo sarebbe stato “all’italiana”: tante parole e pochi fatti. Invece, purtroppo, quella volta agivano sul serio. Il medesimo atteggiamento lo si era avuto, nel 1922, nei confronti del fascismo. Le classi dirigenti credevano che si trattasse di un fenomeno passeggero da usare e da mettere da parte quando non servisse più; invece gli italiani si tennero un regime totalitario per più di vent’anni e se ne liberarono soltanto al prezzo di sacrifici, lutti e distruzioni nel corso di una guerra mondiale.
Vorrei sbagliarmi, ma in questo passaggio storico che stiamo vivendo c’è un aspetto assai più sordido e inquietante di un programma compilato in una fumeria d’oppio e che pretende di tenere insieme un taglio radicale delle tasse con un incremento massiccio della spesa, che promette sviluppo, ma che nel medesimo tempo è ostile agli investimenti in infrastrutture, che ha fatto il pieno di voti nel Mezzogiorno, ma si propone di annichilire l’ultimo centro siderurgico sopravvissuto (magari compensando con il reddito di cittadinanza i 20mila lavoratori che perdono il posto), che si rimangia la parola data sulla Tav. Taluni esponenti – con una sicumera pari soltanto alla presunzione e all’ignoranza – straparlando in libertà hanno già provocato enormi danni sui mercati finanziari, soprattutto nel settore convalescente del credito. Sono inquietanti il tono e la prosopopea dei futuri governanti nel disprezzare le regole liberamente sottoscritte e nell’insultare i partner di un’Unione di cui l’Italia è stata tra i Paesi fondatori. Come si fa a dichiarare in un video – dove Matteo Salvini era tutto naso – che se il contratto ha suscitato preoccupazioni vuol dire che loro sono nel giusto? Quando ci dirà, come la buonanima, “molti nemici, molto onore”? E quando i “salotti che hanno deciso che i nostri figli vivano nella paura e nella precarietà” verranno apostrofati come “demoplutocratici”?
C’è un’aria mefitica che ricorda – basta leggere la storia – quella degli anni venti del secolo scorso. Certo, allora le squadracce fasciste incendiavano le Camere del Lavoro, le sedi dei partiti e dei giornali democratici. Oggi, per fortuna, non siamo ancora alla violenza fisica. Ma l’odio è presente, minaccioso e implacabile. È impresso nel dna di questa coalizione che dell’odio e dell’invidia sociale ha fatto le proprie bandiere. Basta navigare nel web, per immergerci nel brodo di coltura nauseabondo in cui sono cresciute quelle che Macron ha definito le solite “passioni tristi” del Vecchio Continente: il nazionalismo, l’identitarismo, il sovranismo e, perché no?, il razzismo.
Purtroppo dobbiamo aspettarci un futuro prossimo di declino e di sfascio. Ma ogni punto in più di spread significherà un giorno di durata in meno di questo governo da incubo.