L’accordo tra le Parti sociali sulla produttività ha visto finalmente la luce. L’intesa, sottoscritta da tutti (Abi, Ania, Confindustria, Lega Cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil, Ugl), tranne che dalla Cgil, rappresenta, per molti versi, l’auspicio di interventi demandanti all’azione governativa. Senza le coperture necessarie per implementare le misure descritte, infatti, l’accordo è destinato a rimanere lettera morta. Maurizio Del Conte, professore di Diritto del Lavoro alla Bocconi, ne illustra a ilsussidiario.net le principali novità, spiegando quali sono quelle implementabili senza dover aspettare lo stanziamento di nuovi fondi.
Si parla della riduzione dell’aliquota per i salari di produttività. Si tratta del ripristino di una disposizione già esistente. Un’operazione positiva, considerando la scarsa produttività delle nostre imprese. Purtroppo, il Governo ha stabilito una riduzione della riserva necessaria finanziaria per questa manovra; rispetto ai 2miliardi e 100 milioni di euro iniziali, ne sono stati stanziati solamente 1,6, anche se il Governo si è impegnato ad aumentarli. Il limite di questo accordo, consiste proprio nel fatto che si tratta di un’intesa tra le Parti sociali che non possono fare altro che auspicare un intervento del Governo.
Tale materia, invece, è di pertinenza di chi ha siglato l’accordo. Il Governo non può fare altro che prender atto dell’orientamento assunto. Nel merito, va sottolineato l’impegno futuro a dare attuazione sulle regole in materia di rappresentanza entro la fine dell’anno. Si afferma inoltre che la contrattazione collettiva ha il compito di salvaguardare il potere d’acquisto dei salari. Da questo punto di vista, non c’è quindi nulla di nuovo, salvo la decisione di ancorare gli stipendi non tanto a semplici indicizzazioni automatiche quanto a parametri più complessi.
Si tratta di una ripresa di quanto stabilito negli accordi del 2011, che prevedevano lo spostamento del baricentro della contrattazione verso la periferia, alleggerendo quella nazionale. Si tratta del fattore che, principalmente, ha spinto la Cgil a non siglare l’intesa.
– L’intesa è volta a incentivare l’azionariato volontario dei lavoratori e del welfare contrattuale attraverso forme di defiscalizzazione del medesimo. Di partecipazione si parla da tanti anni e sappiamo quanti pochi passi reali si siano, sin qui, fatti su questa strada. Siamo di fronte a un ennesimo tentativo di rilancio della partecipazione attraverso un incentivo consistente nella riduzione del carico fiscale. Un segnale positivo che resta pur sempre sul piano meramente programmatico. Resta infatti da capire cosa accadrà sul piano della regolamentazione di dettaglio.
(Paolo Nessi)