Non ci sono solo i 4.028 esuberi (oltre a 487 dirigenti e a 2mila eccedenze) comunicati dal ministro Patroni Griffi via Twitter; il numero di quanti, all’interno della pubblica amministrazione stanno rischiando il posto, è decisamente più alto. Fabrizio Fratini, segretario nazionale della Cgil-Funzione pubblica con delega al mercato del lavoro e alla crescita, svela a ilSussidiario.net i numeri reali. «Benché il governo si ostini a parlare dei 4mila esuberi, noi da tempo abbiamo posto al centro del confronto la questione del lavoro precario nella pubblica amministrazione, di cui, dalla gestione Brunetta, si è ampliamente abusato. Siamo in presenza di 90.592 persone con un contratto a tempo determinato, 12.573 unità di rapporti di lavoro interinale, 18.604 lavoratori socialmente utili, provenienti da riorganizzazioni e ristrutturazioni nei settori privati, 801 provenienti dalla formazione lavoro, 1389 che collaborano attraverso il telelavoro e 40mila Co.Co.Co. E, infine, ci sono circa 70mila precari della scuola pubblica». Non è tutto: «La maggior parte dei 40mila Co.Co.Co. sono lavoratori che hanno visto, nel tempo, peggiorare la propria situazione. Avevano contratti di formazione lavoro che non sono stati prorogati mentre l’ente per cui operavano, spesso, ha deciso di aggirare la normativa. Continuando a far svolgere loro le mansioni precedenti, ma modificandogli il contratto. E offrendogli una retribuzione inferiore». Più della metà dei suddetti 230mila, con ogni probabilità, sarà licenziata. «La Finanziaria del 2010 stabilisce che solamente la metà dei contratti a tempo possa essere rinnovata. Significa che l’altra metà, non disponendo le amministrazioni centrali e periferiche di risorse, non potrà essere mantenuta in carico». Tutto ciò, produrrà dei danni enormi anche agli altri cittadini: «Moltissimi di questi lavoratori sono in servizio da 5-6, anche 7 anni. Significa, evidentemente, che la loro prestazione era necessaria. E che, senza di loro, l’ente che eroga tali servizi sarà costretto a chiudere». Fratini si dice consapevole dal fatto che «la crisi economica non consente di certo l’avvio di un processo di stabilizzazione automatica di queste persone. Tuttavia, si è agito esclusivamente nell’ottica di fare cassa in maniera immediata, colpendo laddove era più facile colpire e non si è fatto alcuno sforzo per reperire risorse altrove».
Si sarebbe senz’altro potuto operare altrimenti. «Recuperare efficienza, anzitutto, avrebbe determinato dei risparmi. Inoltre, esistono numerosissime consulenze improprie che andrebbero tagliate. Non si capisce perché una pubblica amministrazione con milioni di dipendenti debba affidarsi a consulenze esterne pagandole, talvolta, centinaia di migliaia di euro. Infine, dopo 15 anni di studio sulle esternalizzazioni, abbiamo dimostrato che affidare servizi ad esterni si è rivelato per i cittadini molto più costoso. E’ necessario, a questo punto, reinternalizzarli».
(Paolo Nessi)