«Aboliamo 25 fondi interprofessionali spreconi per risparmiare centinaia di milioni di euro l’anno e consentire agli anziani di andare in pensione prima». È la proposta di Alberto Brambilla, consulente nel campo della previdenza ed ex sottosegretario al Welfare ai tempi del ministro Maroni. Nei giorni scorsi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha dichiarato che se non si modifica la legge Fornero introducendo delle forme di flessibilità “rischiamo di avere un problema sociale”.
È d’accordo con quanti, a partire dal ministro, sostengono che la legge Fornero va cambiata?
La riforma Fornero ha irrigidito il sistema, perché ha indicizzato l’anzianità contributiva all’aumento della speranza di vita. Quando è partita la riforma per andare in pensione ci volevano 42 anni e sei mesi per gli uomini e 41 anni e sei mesi per le donne, adesso per le donne ce ne vogliono già 41 e otto mesi. Di fatto lo scalone dei sei anni e mezzo ha creato 220mila esodati, di cui ne sono stati sanati 170mila. Poletti ha dunque perfettamente ragione quando dice che il sistema va reso più flessibile.
Quale delle molte proposte sul tavolo per cambiare la legge Fornero la convince di più?
Una prima misura è già stata introdotta con la Legge di stabilità. Sono state infatti abolite le penalizzazioni previste dalla Fornero che erano pari all’1% per chi andava in pensione tra 61 e 62 anni e al 2% per un’età inferiore. Ora va eliminata anche l’indicizzazione sull’anzianità contributiva, riportandola ai 42 anni massimi.
Quali altre modifiche propone?
Una modifica necessaria è quella relativa ai cosiddetti “lavoratori precoci”. Chi è andato a lavorare a 18 o 19 anni è giusto che abbia un minimo di sconto sull’età pensionabile. Andrebbe ripristinata la norma scritta quando ero sottosegretario, prevedendo che ciascun anno lavorato prima dei 20 permetta di scontare un anno e mezzo sull’età pensionabile. Lo stesso deve valere per le donne che hanno avuto figli: si dà uno sconto di un anno per ciascun figlio, fino a un massimo di tre.
L’Opzione donna andrebbe rinnovata?
Sì, anche se non più a 57 anni ma almeno a 61 o 62. In questo modo la donna perde meno, perché prendere la pensione contributiva a 62 anni anziché a 57 significa riceverla del 12-14% più alta. Va inoltre mantenuto il limite secondo cui la pensione a calcolo deve essere almeno 1,8 volte la pensione sociale.
Dove possono essere reperite le risorse per realizzare la flessibilità?
Una somma ingente è disponibile per i risparmi che il governo ha realizzato sulla previdenza complementare. Quando noi abbiamo scritto la norma sulla previdenza complementare avevamo immaginato che per il 2012-2015 avremmo avuto 10 milioni di iscritti. Ciascuno di essi sarebbe stato esentato dalle imposte perché aveva sottoscritto i fondi pensione. A oggi però è ancora tutto fermo, e quindi quei soldi che sono stati risparmiati possono essere utilizzati tranquillamente per sostenere forme di pensionamento flessibile. Un’altra cifra è disponibile per la quota assegnata ai 25 fondi interprofessionali, come Fondimpresa e Fondirigenti. Basta unificarli e si risparmiano alcune centinaia di milioni l’anno.
In che senso l’unificazione dei fondi interprofessionali garantirebbe dei risparmi?
Un tempo tutti i lavoratori dipendenti versavano all’Inps lo 0,33% del loro stipendio per fondi che servivano alla formazione e alle convenzioni. L’allora ministro Sacconi ha dato la possibilità di destinare questa somma annua da 1,2 miliardi di euro non più all’Inps, bensì ai fondi interprofessionali che la usano per fare formazione. L’utilizzo prevalente di questi fondi non riguarda però la formazione, in quanto quest’ultima dispone già di somme molto ingenti, bensì per le riconversioni industriali e per il sostegno all’occupazione.
Per quale motivo i fondi interprofessionali sono così costosi?
Perché per ciascuno di essi c’è un consiglio d’amministrazione, un presidente, un direttore generale e la necessità di pagare gli affitti. Se razionalizziamo il tutto riportandolo in mano all’Inps, è possibile sostenere le misure di pensionamento flessibile. Ovviamente l’età pensionabile non rimarrà sempre a 62 anni: entro due anni arriveremo a 63, poi a 64 anni e quindi come in tutto il mondo a un’età minima di 66 anni.
(Pietro Vernizzi)