«Sostituiamo il vecchio sistema a ripartizione con il finanziamento delle pensioni attraverso i fondi di capitalizzazione in uso in tutti i Paesi più avanzati». È la proposta di Vito Moramarco, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Mentre intanto si discute di come introdurre dei criteri di flessibilità nel sistema previdenziale, il ministro per la Semplificazione e la Pa, Marianna Madia, ha firmato una circolare in cui si afferma che tutte le amministrazioni potranno risolvere unilateralmente il rapporto con i dipendenti pubblici che avranno maturato i requisiti per andare in pensione.
Ritiene che la circolare Madia sia una buona idea?
Se si pensionano gli anziani ma non si assumono i giovani, è difficile riuscire ad avere un beneficio complessivo. Nel momento in cui si anticipa l’uscita dal mondo del lavoro, il sistema pensionistico avrà un aggravio non banale. Non è indifferente dal punto di vista della sostenibilità del sistema previdenziale il fatto che il numero di pensionati aumenti dalla sera alla mattina. Da un lato si risolve il problema, ma non vorrei che dall’altro lo si peggiorasse.
Che cosa la preoccupa di più?
La circolare Madia documenta proprio il fatto che l’intero discorso sulle pensioni non va visto semplicemente dal lato dell’equità, che pure è un discorso importante. Va affrontato anche dal punto di vista dei benefici, cioè del valore delle pensioni che si ottengono ritirandosi prima dal lavoro. A questo si aggiunge tutta la questione della sostenibilità di un’ennesima modifica del sistema delle pensioni. Ciò riguarda sia la previdenza, sia la contabilità dello Stato presa nel suo complesso.
Secondo lei, quale può essere la soluzione?
Apprezzo in particolar modo la proposta di Quota 100, a condizione ovviamente che si preveda una determinata soglia d’età per potere andare in pensione. È una soluzione che lascerebbe un margine positivo di flessibilità. Se una persona inizia a lavorare più tardi, perché frequenta l’università o sceglie una carriera particolare, la combinazione di età e contributi può essere un modo per venirle incontro. E poi si va a tutelare chi ha cominciato molto giovane ed è quindi un po’ usurato.
Basta Quota 100 per risolvere tutti i problemi?
No, sono tante le questioni che rimangono aperte. Occorre stabilire se il valore dei benefici debba essere identico per chiunque raggiunge quota 100 o se debba essere diverso sulla base degli anni di contribuzione. Fino a quando non sono chiare queste condizioni non si hanno a disposizione tutti gli elementi per decidere. Ben diverso è un discorso di politica economica complessiva, tale per cui prima si mandano le persone in pensione e maggiore è il numero di posti di lavoro che si creano. L’intenzione però non mi sembra essere questa, per il momento l’obiettivo di breve termine è soltanto quello di risparmiare.
Lei ritiene che vada modificato anche il meccanismo di finanziamento delle pensioni?
Questo è un aspetto importante da tenere in considerazione. Il sistema italiano attualmente si basa sul fatto di prendere i contributi di chi sta lavorando oggi e trasferirli alle persone che sono in pensione. Questo modello funziona bene quando crescono sia l’economia, perché i giovani guadagnano di più degli anziani, sia la stessa popolazione, in quanti ci sono più lavoratori che pensionati. Purtroppo però in questa fase la popolazione invecchia e l’economia non cresce, e quindi è un sistema strutturalmente non sostenibile. La circolare Madia da questo punto di vista è emblematica: manda in pensione i 65enni ma non prevede nuove assunzioni. Ma non spiega come si paghino le pensioni dei vecchi se i giovani non lavorano.
Quale alternativa può essere sostenibile?
L’alternativa è il sistema tale per cui i risparmi forzati dei lavoratori vanno a finire in un fondo pensione privato o pubblico e sono poi investiti nei mercati finanziari. Anziché andare a pagare direttamente gli assegni di chi è in pensione oggi, i risparmi servono al contribuente stesso nel momento in cui si ritirerà dal lavoro.
(Pietro Vernizzi)