Non c’è che dire, chi ha tempo non aspetti tempo: la partecipazione delle donne al mercato del lavoro in Italia è tra le peggiori dei Paesi Ocse, un fattore che penalizza fortemente l’economia del Paese. Nel rapporto “Closing the gender gap” dell’Organizzazione internazionale, l’Italia è al terzultimo posto (davanti solo a Turchia e Messico) tra i 34 paesi aderenti per livello di partecipazione femminile al lavoro (pari al 51% contro una media Ocse del 65%). Secondo gli esperti, se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, il Pil pro-capite salirebbe di 1 punto percentuale l’anno.
Un momento signori esperti, si può fare di più: se da qui al 2050 riuscissimo a bloccare l’invecchiamento della popolazione, lo Stato smetterebbe di pagare le pensioni. Un bel risparmio. Ce n’è pure per chi impaziente vuole tutto e subito, e non attendere tempi biblici: se non nascessero più bambini potremmo ridurre le spese per l’istruzione e, se stessimo tutti in salute, pure quelle della sanità. Pensate, se fossimo tutti buoni, potremmo risparmiarci pure la spesa per l’ordine pubblico e la sicurezza, altro che spending review! A proposito, non me ne vogliano i buoni, ma se quelli del terzo e quarto mondo restassero a casa loro, sarebbero risolti i problemi dell’immigrazione.
Scherzi a parte, mi pare il caso di rammentare ai signori dell’Ocse che i posti di lavoro, seppur di genere, non basta auspicarli. Già che ci siamo e per non smarcarci dai problemi che incombono, proprio quelli del lavoro e dell’occupazione, occorre dare un’occhiata all’efficienza di un precetto di vecchio stampo non più in grado di dettare la regola. Dice: non può esserci ripresa economica senza lavoro.
Già, se occorre reddito per riavviare il ciclo economico, occorre lavoro che retribuisca. Sì, la dottrina economica vincola il reddito all’occupazione, l’occupazione a un lavoro. Il buon senso ammicca: se lavoro ottengo un reddito necessario per dare ristoro ai miei bisogni. Quando invece il reddito da lavoro non riesce a sostenere la domanda per smaltire un’offerta andata ben oltre il bisogno e le merci restano invendute, chi vorrà produrre nuove merci? Chi lavorerà per produrle? Quale lavoro produrrà reddito? Altrimenti ancor meno guadagno insomma; reddito da lavoro indisponibile: ancor più crisi! Un circolo vizioso.
Per uscire dal guado pure qui occorre cambiare le regole del gioco. Per farlo si deve sospendere l’efficacia normativa di quella compassata dottrina, giusto il tempo per riflettere. Sintetica e cangiante, occorre una nuova regola: reddito per creare lavoro. Dove trovare quel reddito? Nella non retribuita quotidiana pratica del consumo, dove sennò? Là dove vengono impiegate le nostre risorse; nell’esercizio della vita spesa a fare la spesa per smaltire la sovrabbondante offerta di prodotto. Quel lavoro, insomma, che retribuisce l’economia.
Lavoro che crea lavoro, occupazione. Retribuito reddito che compensa redditi insufficienti. Reddito di Scopo, e che scopo: smaltire l’offerta sul mercato. Così si darà corso a nuova produzione, nuovo lavoro; nuovo reddito per riavviare il ciclo economico.
Reddito erogato magari dagli extra-profittatori di profitto; quei Signori che hanno più merci in magazzino di quante se ne possano smerciare e che avranno da compensare chi vorrà smaltire quell’accumulo. Nel frattempo, un sereno Natale.