Era il 1972 quando la Premiata Forneria Marconi ci raccontava le sue “impressioni di settembre”. Tra pochi mesi, invece, probabilmente assisteremo, una prima volta per il nostro Paese, alle, meno romantiche, elezioni di settembre. Una, se non la prima, questione cruciale sarà quella dell’economia, e quindi, del lavoro. Gli italiani saranno, insomma, chiamati a giudicare se, a loro giudizio, il Jobs Act, la riforma delle riforme dei #millegiorni, ha avuto successo.
Una mano la possono dare, pur con tutti i suoi limiti, i numeri, ad esempio quelli dell’Istat, che ha rilasciato ieri il suo periodico rapporto sullo stato di salute del nostro mercato del lavoro. Nel documento si evidenzia, in maniera preliminare, come ad aprile 2017 la stima degli occupati cresca dello 0,4% rispetto a marzo (+94 mila unità), dopo un semestre in cui l’occupazione è stata a tratti stabile o in lieve crescita. L’aumento occupazione interessa sia le donne, ma, come spesso, soprattutto gli uomini, e interessa, in maniera più significativa, le persone ultracinquantenni e in misura minore i 25-34 enni, mentre si registra, ahimè, un calo nelle restanti face di età.
Si conferma così il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, anche per effetto dell’aumento dell’età pensionabile e della tanto criticata da più parti “Riforma Fornero”. Il calo, altresì, della popolazione tra i 15 e i 49 anni influisce in modo decisivo sulla variazione dell’occupazione nei dodici mesi scorsi in questa fascia di età, attenuando la crescita tra i 15-34enni e rendendo la variazione negativa tra i 35-49enni (la parte di popolazione che dovrebbe essere, altresì, nel pieno della produttività). Al contrario la crescita della popolazione degli ultracinquantenni ne amplifica la crescita occupazionale, con un conseguente aumento del divario generazionale e della relativa disuguaglianza.
Non sarà forse il caso di tornare a parlare, seriamente, di un rinnovato patto tra le generazioni? Starà forse anche nella difficoltà di leggere, e analizzare, questi dati la difficoltà del premier-segretario ex “rottamatore” di intercettare gli elettori ormai ex giovani che non si sentono rappresentati?
Certamente di questo si parlerà nei prossimi mesi, ed è da auspicare che vengano anche avanzate proposte credibili che superino le vuote divisioni post-ideologiche che stanno attraversando il Paese e, soprattutto, la sua classe dirigente. Una classe dirigente, in particolare quella politica, che, per risultare all’altezza, dovrebbe però evitare di imboccare, come sta facendo sulla questione dei famosi “voucher”, vie di un riformismo azzardato e solitario che non ascolta i bisogni emergenti di un Paese che, nonostante tutto, ancora non è uscito dalla Grande crisi.