“C’è sempre più bisogno di imprenditori perché un paese possa competere. E mentre non c’è nessuno che abbia mai messo in dubbio la necessità di avere dei manager, qualcuno invece sembra che abbia ipotizzato di poter fare a meno proprio degli imprenditori. Da sostituire, magari, soprattutto nelle grandi aziende, con professori o banchieri contornati da assistenti. Ma se non ci sono imprenditori, che sono quelli che sognano di più, che innovano trasgredendo, come competiamo? E dobbiamo aver presente che la concorrenza oggi non è più solo tra imprese o tra paesi, ma addirittura tra pezzi di mondo”. Con schiettezza, senza giri di parole, Marco Boglione, presidente di BasicNet (la società titolare dei marchi Kappa, Robe di Kappa, K-Way, Superga, Jesus Jeans e Anzi Besson), ha parlato la scorsa settimana alla Scuola d’impresa della Compagnia delle Opere davanti a un folto gruppo di manager di aziende e banche, attive a Milano.
Ha ripreso con questi termini la sua battaglia per la riaffermazione del ruolo dell’imprenditore nel nostro paese e nell’immaginario giovanile. Battaglia che ha cominciato nel 2009 con l’uscita del suo libro (scritto con me a quattro mani per Basic Edizioni) intitolato “Piano piano che ho fretta – Imprenditore è bello”, in cui racconta la sua avventura imprenditoriale, e in questi giorni ripubblicato da Itaca nella collana “Persone e imprese”.
“Da parecchio tempo – dice Boglione nel capitolo dedicato ai giovani – sento il bisogno sempre più forte di contestare i luoghi comuni con i quali vengono presentati gli imprenditori attraverso un caleidoscopio di interessi politici, morali e mediatici di ogni genere. Con il risultato che, alla fine, i giovani, nella maggior parte, sognano sin da bambini di fare i calciatori o le veline e in pochi, troppo pochi, di creare delle aziende, di farle crescere e di diventare leader nel mondo degli affari. E tutto questo, secondo me, con conseguenze catastrofiche per l’economia e per il progresso sociale del nostro paese”.
Nessun grande imprenditore, ha sottolineato Boglione, “è partito coi soldi, questo mestiere non è arido, non è fatto da gente che sfrutta per il guadagno. Essere imprenditore è bello e avvincente e per farlo occorre non avere paura della paura. La paura è positiva, ci vuole”. Come invertire questa visione distorta della figura dell’imprenditore? Con l’educazione. “Bisogna coltivare una stima del ruolo dell’imprenditore parlandone alle giovani generazioni, sin da bambini. Ci vorrebbero film, persino cartoni animati”.
“Io – dice nel libro – sono stato fortunato. Se l’ambiente familiare, scolastico e sociale nel quale sono cresciuto fosse stato quello di molti miei amici – aspirazione a un posto fisso, attenzione a non farsi sfruttare, non mettere mai tutto in gioco, con l’aggiunta di tentazioni latenti di modelli sociali alternativi all’economia di libero mercato e al capitalismo – probabilmente non avrei neppure provato a diventare un imprenditore”.
Più ci sono imprenditori, aggiunge Boglione, “più c’è bene comune per le nostre città. E allora posso ben dire che il mio contributo al bene comune è la mia azienda, con le 450 persone impiegate e le tremila coinvolte a livello mondiale; gli imprenditori che creano bene comune hanno come risultato la resa economica della loro attività”. Quanto al rapporto coi manager il patron di BasicNet ha le idee chiare: “Non c’è contrapposizione, semmai continua integrazione. Dirò di più: il sogno di ogni imprenditore è di vedere la sua azienda completamente managerializzata. Perché solo così può dedicarsi interamente al ruolo che gli compete: quella vision senza la quale l’azienda non ha mete e non può competere”.